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*Pio quinto

            di Giuseppe Celso Mattellini


    Perché parlare di Pio V dentro il Rinascimento della fede, durante il Rinascimento della scienza e dell’arte?

Per il semplice motivo che Pio V rese chiara la riforma della chiesa, dovuta all’applicazione del Concilio di Trento, svolto con diverse fortune, proprio nel periodo rinascimentale.

Pio V fu eletto Papa nel1566, e morì nel 1572. Il Concilio di Trento terminò nel 1563.

Nella nostra conversazione su Gaetano da Tiene, si è parlato molto dei movimenti di rinascimento cristiano nel periodo rinascimentale, da parte dei cattolici e, con altro spirito, da parte dei molti riformatori, che si differenziarono dalla chiesa tradizionale. La molla di partenza degli uni e degli altri fu la necessità di riformare una società cristiana, che mostrava la propria debolezza nella fede, e il proprio tralignamento morale nei costumi.

Mentre molte persone intraprendevano la riforma religiosa e al Nord si estendevano le riforme luterana e protestante, la Chiesa istituzionale stentava a uscire dal ginepraio morale, nel quale era caduta dopo la cattività avignonese e il periodo umanistico.

Prima del Concilio di Trento, e durante tale Concilio, alcuni papi avevano tentato e realizzato alcune riforme, ma esse non riuscirono a incidere sulla totalità del complesso cristiano.

Già ai tempi del Cusano, Niccolò V si accinse a riformare il clero. Perfino Alessandro VI , persona di non sublimi virtù, aveva ideato una riforma. Giulio II aveva indetto il V Concilio ecumenico laterano (1512-1517). Anche il grande umanista Leone X aveva tentato qualche via di riforma. Durante la sua vita, il protestantesimo ribolliva e si propagava, nonostante l’opposizione del re Carlo V . Alla morte di Leone X, un papa olandese Adriano VI, in un solo anno di pontificato, aveva impostato nella curia romana una riforma severa.

Il suo successore Clemente VII (1523-1534) appoggerà molte riforme di ordini religiosi e subirà quell’immane scempio del “sacco di Roma” (1527). Dobbiamo arrivare a Paolo III (1534-1549), per finalmente vedere indetto il concilio di Trento.

Ne abbiamo già parlato. Ora è necessario ricordare alcuni risultati dottrinali e disciplinari del Concilio di Trento, che furono alla base dell’intensa azione di Pio V.

Il concilio si protraeva stanco, da una quindicina d’anni, quando l’austero e deciso Pio IV (1559- 1565) riuscì a radunare quell’ultima parte del Concilio, che rivoluzionerà, riformerà, farà riconoscere la Chiesa, esausta per le debolezze al suo interno e indebolita all’esterno dalla crescente riforma protestante. Eppure questa riforma sarà capace di offrire un binario sul quale una parte delle “definizioni” conciliari tridentine si misurerà.

I temi forti, affrontati e definiti come fede cattolica, si articolano su alcuni cardini.

A)-  La fede cristiana utilizza due veicoli per camminare nel tempo: la Scrittura e le tradizioni (poi riassunte nella tradizione).
Dio si rivela non soltanto attraverso l’Antico e il Nuovo testamento, ma anche attraverso la tradizione costante, orale o scritta, della chiesa. Anzi di questa tradizione il Nuovo Testamento è un primo importante frutto. Riflettendo su questi due cardini, l’opera del Concilio chiarisce alcuni punti. Purtroppo, seguendo anche il pensiero del Cardinale Carlo Martini, la rivendicazione dell’importanza della Tradizione sarà così massiccia, che la Sacra Scrittura verrà messa in ombra (tranne che per la definizione del Canone), e sarà  rieditata nel Concilio Vaticano Secondo dei ostri giorni.

B)-  Tra i punti chiariti, anche perché discussi e in parte negati dal protestantesimo, si nota il ruolo della fede  che è connessa alle opere ed è fomentata dalla Grazia.
            La dottrina che riguarda la Grazia, forma un nucleo importante dello stesso Concilio. La fede è possibile  perché Dio  sorregge l’uomo nel viverla. Lo sorregge in ogni frazione del credere, prevenendo la fede, fomentandola, elevandola. Fede che non si esaurisce e non si limita nel semplice atto di confidenza, che l’uomo rivolge a Dio, ma è possibile solo in quanto Dio dona a tutti la forza di credere. E non si isola dalle opere, ma esige la collaborazione dell’uomo, che, pur essendo peccatore, può essere purificato dalla “grazia santificante” (libero arbitrio: il più genuino umanesimo!)

C)- Collegati necessariamente al dono della grazia, il Concilio riafferma il valore e la funzione dei Sacramenti. Ne indica il numero, continuando la tradizione dei sette Sacramenti, e perciò opponendosi alla riduzione luterana ai due Sacramenti. Ne indica l’efficacia produttiva di Grazia, e non solo stimolo alla fede. Il numero dei sacramenti è stabilito definitivamente dal Concilio, che prima aveva stabilito il numero dei libri del Nuovo Testamento, anche questo ridimensionato da Lutero. Particolare rilievo è dato al sacramento dell’ordine, pur indicando solamente l’ordine dei sacerdoti e non indicando quello dei vescovi.
         In particolare il Concilio è pesantemente sentenzioso: “Chi dice così e così…sia scomunicato, anatema”. Così si esprimono tutti i canoni, quindi al negativo, dopo essere preceduti da una indicazione dottrinale. Questo stile sparirà nell’ultimo Concilio Vaticano II, per precisa indicazione di Papa Giovanni XXIII: il Concilio deve conciliare.

Parallelamente alle formulazioni dottrinali, espresse nei canoni, il Concilio si inoltra nella riforma della Chiesa e del vivere cristiano, attraverso i decreti. I decreti sono autoritativi, ma non indicano oggetti di fede, non obbligano in modo tale, che chi non vi si attiene diventa anatema. Eppure attraverso i decreti, le esigenze della fede si affermano e la Chiesa si purifica e si riforma.

I decreti impongono comportamenti riformati, che obbligano tutti, dal Papa ad ogni cristiano. “In capite et in membris” si diceva. Però del papa e dei suoi comportamenti, praticamente si tace, fino a che non sarà riaperta la dottrina sul Papa, tre secoli dopo, nel corso del Concilio Vaticano I.

I cardinali devono essere scelti tra sacerdoti virtuosi, lontani da mollezze e da ambizioni signorili, e da feste gozzoviglianti.
Termina così il lungo periodo dei signori cardinali umanisti.

I Vescovi sono particolarmente comandati di curare direttamente le loro diocesi, come pastori. Devono risiedere nelle diocesi. E’ terminato per loro il tempo di avere la prebenda della diocesi, di girovagare gaudiosamente, demandando la cura della diocesi a dei vicari.
Dovevano godere del solo beneficio della diocesi. E poi erano tenuti a visitare almeno una volta l’anno le sue parrocchie. Dovevano essere attenti nella scelta dei sacerdoti, cosa trascurata nel passato.

I preti  “devono essere formati a tutte le virtù”. Si rifiuta la novità protestante dei pastori sposati, il parroco, in particolare, deve conoscere la Scrittura, i Sacramenti, la Liturgia, per ammaestrare i fedeli. Nasce quindi la necessità di una preparazione adeguata dei preti, di creare quindi un vivaio dal quale scegliere il prete, cioè il seminario.

Anche gli ordini religiosi dovranno rinnovarsi. Quando Paolo III indice il Concilio, “una commissione di riforma” aveva ipotizzato perfino di sopprimere tutti gli ordini religiosi. Forse si temeva che gli ordini religiosi producessero un altro Lutero. Eppure il Concilio si avvalse in modo generoso, dell’apporto di teologi degli ordini religiosi, nominatamente dei domenicani e dei francescani. Il Concilio stesso si accorse che era stato alimentato anche dai religiosi. Però ai religiosi si imposero regole sull’assunzione dei membri, sull’organizzazione dei conventi, sull’elezione dei superiori. Le commende dovevano essere concesse solo a religiosi, viventi all’interno delle stesse.

I laici sono rientrati nella riforma conciliare, come invece saranno ricordati a pieno diritto nel Vaticano II? - Per loro già si pensa ad un catechismo? –

Però alcune orme sono rivolte anche a loro: obbligo della Messa festiva, regole per il matrimonio, proibizione di duelli.

E i laici che esercitano il potere? Purtroppo essi furono in parte responsabili nel protrarsi del tempo, e saranno di ostacolo anche nell’applicare le riforme nei loro stati. Nonostante una indicazione di “riforma dei prìncipi”, resistenze non poche, alla riforma si oppongono dai principi.

La domanda: questa grave riforma resterà soltanto sulla carta, come già le riforme del precedente concilio ecumenico ( Lateranense V, 1512)?

Proprio in questa prospettiva, si colloca l’opera di Pio V.
Nel 1563 si conclude il Concilio di Trento.
Nel 1566, dopo la morte di Pio IV, è eletto Papa il cardinale ligure Michele Ghislieri, fino ad allora responsabile dell’Inquisizione.
Michele Ghislieri, nato nel 1504 a Bosco Marengo, a 14 anni entra nel convento dei Domenicani . Nel 1528 fu consacrato sacerdote e successivamente insegnò teologia. Nel 1566 fu ordinato Vescovo. L’anno dopo divenne cardinale e dopo un altro anno divenne grande Inquisitore. Nominato a tale ufficio dal precedente inquisitore, divenuto Papa: l’arcigno cardinale Carafa, che noi abbiamo incontrato nel parlare di Gaetano Tiene.

Uomo severo, austero, dedito alla pietà e non alle festicciole dei suoi colleghi.

Come inquisitore aveva criticato lo smaccato nepotismo del Papa. E da Papa non si assise in un palazzo, ma continuò ad abitare in una cella di convento. Andava a piedi a Roma, anche nelle processioni con il Santissimo.  Un Papa umile che entusiasmò  la gente che, non comprendendo lo stile, progettò di  erigergli un monumento.

Volle realizzare, anche con mezzi spicci, le riforme conciliari. L’opera di riforma riguarda tre sfere: la diocesi di Roma e il clero, la Cristianità, l’influsso politico.

A)- Roma
I vescovi dovevano recarsi nelle loro diocesi: se qualcuno pretendeva di restare a Roma era ospitato nelle prigioni di Castel  Sant’ Angelo.
I privilegi dei canonici di San Pietro furono aboliti. I parroci non potevano accettare feste nelle chiese.
La curia fu riorganizzata dal veronese Ormaneto, che combatté la  simonia e il traffico delle indulgenze (Lutero ne sarebbe stato soddisfatto).

Furono nominati cardinali non i membri delle famiglie nobili, ma i nobili per virtù e per pietà.
Pio V fu inflessibile con cardinali e con vescovi, aiutato in ciò dalla polizia pontificia, diventata severa, come il Papa. Nello stato pontificio e fuori di esso  i roghi si accendevano non raramente, anche per il compiacente aiuto delle autorità favorenti i decreti del Concilio.
Il museo Capitolino si arricchi di nuove opere, trasferite dai palazzi pontifici, non per amore dell’arte, ma per l’allontanamento di opere non cristiane.

B)-  Cristianità
Un più vasto rigore di riforma intanto si estendeva in parecchie diocesi, con a capo quella di Milano con S: Carlo Borromeo. Per aiutare quest’ opera, Pio V ideò riforme che bene o male, continuarono fino al  Vaticano II, grazie anche agli stimoli di persone illuminate, alcune delle quali sconfinarono in qualche esagerazione del modernismo.

Pio V riformò il Messale, il Breviario, portò a compimento un catechismo per i parroci e volle fosse pubblicata un’edizione critica della Somma di S. Tommaso d’Aquino.
Egli compì una delle non poche riforme del messale romano. Fece aggiungere un’entrata penitenziale, la preghiera all’offertorio, il Vangelo di Giovanni alla fine. Altri papi successivi pensarono di aggiungere altre preghiere. Però soprattutto incentrò e uniformò il rito della Messa, tranne che per alcune chiese come l’Ambrosiana, facendo perdere o indirizzando all’archeologia molte varietà di liturgie e di innologia, espungendo però meritoriamente dalla liturgia inni praticamente non cristiani, introdotti nel periodo umanistico.

La riforma della Messa di Pio V, perdurò ben quattro secoli. Il Vaticano II  infine riformò la Messa, su basi patristiche e bibliche.
Con la riforma della messa, riformò,  la liturgia delle ore, superando il “Breviario”, adottato dalle chiese, su esempio dei Francescani.
Opera che influenzò la fede dei cristiani fu il suo “Catechismo ad parochos”.

Questo indicava ai parroci le linee della loro catechesi: che poi questo catechismo, il quale riportava le idee e le definizioni del Concilio di Trento, sia stato sempre osservato, è un’altra cosa.

Unità nella Messa e nel  Breviario, unità nell’insegnamento del catechismo, e ora un’altra unità imposta dal papa Pio V, cioè  unità nella teologia, basandola e arrestandola sulla Somma di Tommaso d’Aquino. Non si può dimenticare che il Papa era stato un frate domenicano e che aveva insegnato teologia. Da Pio V in poi, la varietà e quindi, la creatività della ricerca teologica subì un inalveolamento, che più volte sarà reso obbligatorio negli studi teologici. Quell’insegnare teologia “ad mentem Thomae”, e commentando i risultati del Concilio di Trento, del resto è una tendenza fatale dei papi teologi, imporre la propria visuale teologica.

C)-  Influsso politico
La riforma ufficiale cattolica, operata da  un Papa, sovrano di uno Stato, e ancora influito dalla posizione gregoriana, doveva penetrare tutti gli stati cristiani. Perciò i sovrani dovevano accettarla e imporla nei propri stati. Un intenso lavorio diplomatico fu iniziato presso i vari stati. Ecco la pubblicazione della bolla “In coena Domini”.

Le risposte dei sovrani furono diverse. Massimiliano II d’Austria, non fu molto disposto, perché desiderava pareggiare nel suo regno protestanti e cattolici.

Elisabetta d’Inghilterra confermò la scissione anglicana e fu scomunicata.

In Svezia la regina Caterina Jagellone fu scomunicata perché aveva aderito ai riti protestanti.

I principi italiani, di buon o di malgrado, si sottomisero e a Firenze e a Venezia le tentazioni di instaurare il protestantesimo presto si estinsero con qualche esecuzione capitale. L’inquisizione funzionava.

La Spagna di Filippo II accettò entusiasticamente e crudelmente, per merito dell’Inquisizione, con le imposizioni degli autodafè, e con l’incendio di libri protestanti e con il rogo generoso di eretici.

Caterina de’ Medici, in Francia, incerta sul da farsi, fu trascinata ad accettare il Concilio, dal parlamento stesso.

Pio V volle tentare  anche la conversione della Russia, ma in quella regione si trovava sul trono Ivan il terribile.
L’influsso del Papa sui principi cristiani si manifestò in occasione della lotta contro i Turchi. Egli, quasi volesse riorganizzare una crociata, convinse alcuni principi cristiani  ad allestire la flotta che annientò la flotta turca, nella battaglia di Lepanto.

A Pio V si deve riconoscere  il grande merito di non lasciare il concilio di Trento lettera morta.

Evidentemente il suo stile di severo inquisitore, capace di usare più il bastone che l’attrattiva, stendono una luce non benigna sul suo lavoro. La sua forzosa opera di unificazione, come ogni opera di accentramento, fu causa di un appiattimento generale.
Il ridurre la teologia ad una sola dimensione, depauperò l’opera dei teologi, restando in piedi le cattedre concorrenti solo nei paesi misti di protestanti e cattolici.
 
Merito personale di Pio V, è il suo essersi “sottomesso” alla chiesa che si era pronunciata in un Concilio Ecumenico, di cui fu sì promotore, ma anche esecutore obbediente.

La Chiesa non cammina solo per l’opera dei Papi. Anzi, spesso la storia dei Papi, manifesta dei lati soltanto, mentre sono i Santi che fecondano la chiesa. Fortuna di Pio V , questo ligure voglioso di riforme, fu quella di trovare nella Chiesa il fervore di santi: Carlo Borromeo, Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Tommaso Moro, Francesco Saverio, Filippo Neri, per citarne alcuni, che svilupparono santità e missioni.

Il Concilio influenzò anche l’arte rinascimentale? L’austerità soffocò l’arte? Il Concilio uccise il Rinascimento?
Durante il Concilio (1545-1563), a Roma troviamo Michelangelo, che alla fine della vita, si armonizza con le nuove esigenze. Troviamo un Palestrina che compone la sua “Missa papae Marcello”. Troviamo un Vignola.

E poi l’influsso del Concilio si propagò. Ne furono colpiti, almeno sotto alcuni aspetti; il vecchio Tiziano, il Veronese e il Tintoretto.
Dopo un secolo e mezzo dalla morte, Pio V fu proclamato santo, evidentemente secondo i criteri politici, seguiti dai Papi. Santo non secondo la considerazione del suo carattere e dei suoi difetti, ma secondo la sua retta intenzione, la sua fede nella Chiesa, gli effetti positivi per il Cristianesimo.

Se lui…. c’è speranza anche per noi.