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*Lo Spirito Santo in S. Francesco

Solitamente la spiritualità di Francesco la si designa come spiritualità cristocentrica: S. Francesco rivolto a Gesù, tanto rivolto a Gesù da diventare, come dicono i biografi un altro Cristo.

Altri vogliono vedere la spiritualità francescana tutta rivolta verso il Padre, ossia patrocentrica.

Lo Spirito santo non sembra avere un grande rilievo. Si esprimono lati della spiritualità francescana, si commenta largamente la spiritualità, quasi  dimenticando che, se spiritualità essa è, non può che venire dallo Spirito nel cuore di ogni cristiano, nella chiesa e in tutto il mondo.

In Francesco lo Spirito Santo è presente e operante. Quindi possiamo considerare il rapporto Spirito Santo e Francesco, sotto alcune angolature, dentro le quali emergeranno lati che riguardano a volta a volta Francesco che vive di Spirito, Francesco cosciente della vita nello Spirito, Francesco teorizzante lo Spirito Santo.

                 FRANCESCO VIVENTE LO SPIRITO

Tutti noi cristiani viviamo la fede in Dio, poiché lo Spirito la vive in noi; e la “divina ispirazione” è sempre opera dello Spirito Santo. Quando Francesco adopera il termine “ispirare”, evidentemente ricorda un’opera dello Spirito Santo. Questa è un concetto e un’operazione fondamentale, anche per la nostra conversazione.

Francesco scrive nel testamento  del 1226: ”E dopo che il Signore mi donò dei fratelli, nessuno mi mostrava cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del Vangelo. Ed io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere e il signor papa me lo confermò”. (N° 116 marginale delle Fonti Francescane: delle Fonti d’ora in poi citerò solo il numero marginale).

Francesco muore nel 1226, dopo aver steso questo testamento. Purtroppo anche questo testamento, scritto con semplicità da Francesco, fu uno dei primi pomi della discordia tra le famiglie francescane.

A me piace ricordarlo, perché esprime lo spirito di Francesco. Quando egli era perplesso, si affidava all’Altissimo, ossia al Dio unitrino, dal quale si attendeva la luce.

Nel testamento di Francesco, unico tra i suoi scritti di carattere biografico, questo senso di dipendenza dall’azione di Dio è spesso rilevato.

Lo scritto si inizia con un “Il Signore concesse a me, fratello Francesco, d’incominciare a far penitenza in questo modo: essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi era sembrato amaro, mi fu trasformato in dolcezza di anima e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”(110).

Questo ritornello si ripete sei volte, nel testamento. “Il Signore concesse”, “Il Signore mi condusse”, “Il Signore mi dette”, “Il Signore mi donò”, “Il  Signore mi rivelò”, “Il Signore mi ha dato di dire”: esso serpeggia in tutta la presente sintesi autobiografica.

Ciò che di Francesco scriveranno più tardi i biografi, lodando la santità dell’uomo, Francesco stesso la vede opera di Dio. Una citazione del primo biografo, che scrisse vite panegirico del santo, il Celano,  recita così:”Gli uomini santi a volte sono portati, per impulso dello Spirito Santo, a manifestare alcune cose che li riguardano” (638). Ciò che per il Celano avviene “a volte”, nel testamento avviene sempre.

Ora vediamo in quali settori si articolano i “doni”di Dio, “doni dello Spirito”.

SPIRITO E CHIAMATA

“Far penitenza e unirsi ai lebbrosi”.

Far penitenza, ai tempi di Francesco, era inteso quale vivere davvero da cristiani. Il sapore della penitenza richiamava da vicino non soltanto la mortificazione, ma prima di tutto la conversione.

“Il Signore mi condusse fra i lebbrosi”.

Sembra di trovare un’eco dell’impensabile dono dell’Incarnazione di Gesù, che si trova tra i poveri, gli ammalati, le prostitute, i peccatori, i lebbrosi.

Per Francesco, uomo poeta dalle percezioni intime nell’accostare la realtà, la conversione diventa subito opera di misericordia e quest’opera produce dolcezza psichica e freschezza fisica.

SPIRITO ED EUCARESTIA

“Il Signore mi diede tanta fede nella Chiesa”: questa è opera dello Spirito di Dio nel rilevare la presenza di Gesù nell’Eucarestia. Francesco entrato in chiesa, non guardava i dipinti né si metteva a conversare con i presenti, ma andava all’essenziale e diceva: “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo …ecc.”. Nella raccolta delle 28 “ammonizioni” il redattore ha sentito l’ispirazione, e recensisce per prima ammonizione quella sul Corpo di Cristo, ricordata nella sua vita e nell’Eucarestia.

Nella lettera a tutti i fedeli, il primo punto è dedicato al Verbo del Padre, ricordato all’Ultima Cena, alla Croce e alla sua Glorificazione.

Poi scrisse una lettera a tutti i chierici, ai quali raccomandava l’ossequio dovuto al Corpo del Signore nell’Eucarestia.

Perfino nella lettera ai politici e agli amministratori (Reggitori dei popoli!) consiglia di “ricevere devotamente la Comunione del Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, in sua memoria” (212).

Nella lettera al Capitolo Generale, dopo le lodi a Dio, per prima istanza parla del corpo eucaristico di Gesù e della Messa, per passare poi alla Sacra Scrittura.

Ai custodi consiglia di supplicare i sacerdoti a venerare sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e Sangue di Gesù (241).

Ai guardiani: “Vi prego nel Signore nostro Dio, quanto posso, che diffondiate le lettera che tratta del Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro” (247).

Tralascio il ricordo delle preghiere di S. Francesco, promettendomi, se Dio vorrà, di trattarne in un’altra occasione.

Non mi sento di trascurare il ricordo dell’amore all’Eucarestia nel francescano Giuseppe da Copertino, che, entrando in una chiesa buia, volava spontaneamente verso il luogo dove era conservata l’Eucarestia.


                                    SPIRITO E SACERDOZIO

“Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti” (112). Il collegamento con l’Eucarestia è ovvio. E’ dono di Dio il sacerdozio cattolico e ortodosso. Una delle grandi, essenziali differenze, tra il pauperismo di  Francesco e altri pauperismi, più o meno ortodossi, del suo tempo, non sta solo nell’obbedienza al Papa,  ma anche nel credere al sacerdozio.

Quando Francesco cerca ispirazione per il suo operare, chiede a un sacerdote di aprirgli la Sacra Scrittura. Nelle sue raccomandazioni ritorna frequentemente il richiamo al rispetto per i sacerdoti, rispetto che egli sa essere dono di Dio. Francesco non accedette al sacerdozio: perché?

Narra il Celano che Francesco, tra il saluto dato ad un santo del cielo e quello dato ad un sacerdote, se li incontra assieme, prima saluta il sacerdote e gli bacia le mani e poi si scusa con il santo dicendogli: “Ohi, aspetta S. Lorenzo, perché le mani di costui toccano il Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano”(791). - S. Lorenzo non era sacerdote – Forse perciò Francesco scelse di essere solamente santo e non sacerdote, come ci ricorda Ubertino da Casale nel suo “Albero della vita” (2059).

Rispetto ai sacerdoti! E io mi chiedo ”Rispetti te stesso in quanto sacerdote? E rispetti i tuoi colleghi sacerdoti?”.

Mi rincuora Francesco che scrive: ”In loro non voglio considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori” (113).

                                                                                  S                                       SPIRITO E FRATELLANZA

“Il Signore mi donò dei fratelli”. Dono di Dio sono i fratelli che si affiancano a noi per aiutarci (e aiutarli) nell’amare Dio. I fratelli spirituali, per  S:Francesco,  valgono più dei fra-telli di sangue e del padre Pietro di Bernardone. Gesù preferì i fratelli, le sorelle e le madri, che ascoltavano la Parola di Dio  e compivano la sua volontà, ai fratelli, alle sorelle e alla madre naturale che erano andati in cerca di Lui.

I fratelli sono un dono, se accettano di vivere poveri (117). Per  Francesco la prima condizione per diventare suo fratello era la povertà. La seconda, la preghiera comune (l’Ufficio).  La terza,  restare illetterati. La quarta, imparare un lavoro. (I19).

Come è chiaro le condizioni sono minime, eppure esigenti. A indicare queste condi-zioni è sempre quel Signore “ che donò fratelli”.

                                                                           S                                                SPIRITO DI PACE

“Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto : Il Signore ti dia pace“ (121).

Il dono dell’incontro. Già nella regola non bollata Francesco, sulla scorta del Vangelo, indicava ai “frati che vanno per il mondo” di salutare con il “Pace a questa casa”, secondo il Vangelo di Luca (40) e rinnova l’indicazione nella seconda Regola (86). Lui stesso augura pace ai politici (210), a frate Leone (249). L’incipit di ogni suo sermone  era l’augurio di pace (359).

Quando porta la guarigione a qualcuno, si presenta con il saluto di pace (552).

Il Signore gli ispirò questo comportamento, perché Francesco accolse seriamente la parola del Vangelo di Luca.

   IN OGNI DONO DI  DIO  E’ LO SPIRITO DI DIO C                                                  CHE E’ DONATO

Francesco afferma che Dio gli dona i comportamenti. Non comandi, ma doni.
     Il senso del dono ci richiama ulteriormente lo Spirito. “Poiché siete figli, Dio inviò lo Spirito del Figlio nei nostri cuori” (Gal. 4,6). E “Frutto  dello Spirito è amore, gioia, pace, longanimità, bontà, benevolenza, fiducia, mitezza, padronanza di sé” (Gal. 5, 22-23).

 a)- In quel “Dio mi diede” di Francesco, scorgiamo i frutti dello Spirito Santo.
    

Alle suore di S. Chiara scrive: “Per divina ispirazione, vi siete fatte figlie e serve dell’ Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del Vangelo”. Le designa spose dello Spirito Santo e non come normalmente si dice, spose di Gesù.
     Chiaramente Francesco pone in relazione l’ispirazione divina con la presenza dello Spirito.

  b)- Quando Francesco, nella prima ammonizione, parla del Corpo di Cristo, avverte che “Dio è spirito; non può essere visto che con lo spirito: è infatti lo Spirito che dà la vita” (i42).

L’opera dello Spirito è dentro l’uomo. “lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, egli stesso riceve il Santissimo Corpo e Sangue del Signore” (141). Francesco spiega  ancora che non solo Dio dona il suo Spirito e si dona nello Spirito, ma anche il ricevere il dono di Dio avviene nello stesso Spirito. Lo Spirito Santo, dentro l’uomo, riceve se stesso, che viene da Dio. L’intuizione è esaltante.

c)- Allora quando Francesco indica che i frati devono desiderare sopra ogni cosa: “Avere lo Spirito del Signore” (104), indica l’invocazione soave dello Spirito in ogni fratello.

Egli riconosce la presenza dello Spirito Santo, quando regola la missione dei fratelli fra i Saraceni. “Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e altri infedeli”: è scritto sia nella prima (42), che nella seconda Regola (107).

Tutto il capitolo della prima regola, che parla dei Saraceni, è pervasa da presenza dello  Spirito Santo. Sotto questo aspetto è d’obbligo ricordare che lo Spirito Santo opera in modo particolare e pieno nella chiesa cattolica, ma opera altresì potentemente in tutto il mondo e in tutte le religioni, anche quando a queste non si mostra come, attraverso Gesù si è mostrato e si mostra tra i fedeli che credono in Gesù, Figlio di Dio.

Perfino la predicazione presso i Saraceni, che deve mostrare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, deve non essere imposta, ma esplicata solo “quando vedranno che piace al Signore” (43), essendo la discrezione un dono dello Spirito.

Infatti Francesco diceva a frate Elia, poco prima di morire che lo “Spirito Santo suggerisce al cuore dei suoi fedeli ogni cosa buona e la pone sulla loro bocca (1614)

Soprattutto lo Spirito si rivolge a tutti: “Presso Dio non vi è preferenza di persone, e lo Spirito Santo, ministro generale dell’ordine, si posa ugualmente sul povero e sul semplice” (779). Perciò un Ordine religioso votato alla povertà, è un ordine preparato all’azione dello Spirito Santo.


Proprio perché i fratelli di Francesco sono poveri per lo Spirito, essi realizzano sempre la prima beatitudine, che condiziona ogni altra beatitudine: “Beati i poveri secondo e in vista dello Spirito”.

Un sogno luminoso, che penetri nel cuore dei fratelli, S. Francesco lo indica nel grande raduno dei frati, quel raduno che sarà disciplinato variamente nella storia dei Francescani, ma che manterrà sempre la dizione originaria e il tempo scelto.

Si tratta del raduno generale di tutti i fratelli del tempo di Pentecoste.

“Tutti i ministri, che sono nelle regioni d’oltremare e oltr’Alpe, una volta ogni tre anni e gli altri una volta l’anno, si radunino a capitolo generale, nella festa di Pentecoste, presso la chiesa di Santa  Maria della Porziuncola” si legge nella prima Regola (50).

“Alla morte (del ministro generale) l’elezione del successore sia fatta dai Ministri provinciali e dai custodi del Capitolo di Pentecoste” si legge nella seconda Regola. (96).

E “Dopo il Capitolo di Pentecoste, i singoli ministri … possono radunare nello stesso anno, i loro frati a capitolo” (97).

Scrisse ad un ministro (servo!) dell’Ordine, riguardo ai frati peccatori e inosservanti della Regola Francescana: “Nel Capitolo di Pentecoste, col consiglio dei frati, ne faremo uno, cioè questo: Se un frate, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ricorrere al suo guardiano, per usare misericordia (237).

Allo stesso ministro raccomanda di tenere la lettera presso di sé, fino alla Pentecoste, perché in quell’occasione sia meglio osservata”.

In questo modo Francesco mette in grande evidenza la forza della Pentecoste, che è lo Spirito del Signore Risorto donato alla Chiesa, quale garanzia per l’osservanza delle norme (239).

Francesco dunque  vive lo Spirito Santo come Anima che dirige, che ispira, che sostiene lui stesso, i Francescani singoli e tutta la fraternità, che si rigenerano continuamente nella Pentecoste, per continuare a diffondere nel mondo la Parola del Signore, per aiutare gli uomini a riconoscersi figli, nel Figlio, dell’unico Padre e a vivere, di conseguenza, in armonia tra loro e con tutto il creato.

Lo Spirito Santo è il grande veicolo della volontà di Dio, che è sempre e solo Amore per tutte le sue creature, Amore che redime, che libera, che salva, perché Dio non può che essere fedele a sé stesso. E questo, per nostra fortuna, è per noi tutti fonte di consolazione e di grande speranza.