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*I volti dell'educazione


Conferenza della Dr. Maria Zaupa, psicopedagogista clinica

Introduzione

   Siamo stati introdotti all’argomento dal dottor Signori il quale ha espresso chiaramente quanto la nostra riflessione guardi alle polarità e non alle differenze di genere, pur presenti. Maschile è l’attività, la forza, la direzione, il comando…… femminile è la passività, la debolezza, la circolarità, la soggezione. Maschile è il fulmine, la freccia, il sole, il fuoco…… femminile è la notte, la luna, l’acqua.     Dentro ogni donna, così come dentro ogni uomo, coesistono aspetti femminili e maschili. Nella tradizione Taoista maschile e femminile entrano nella composizione Yin/Yang del mondo e della razza umana che implica delle norme, delle leggi naturali; tra queste il fatto che due elementi complementari, anche se apparentemente opposti, come maschio e femmina, non possano mai essere presi in considerazione separatamente, ma sempre l’uno in relazione all’altro. Femmina e Maschio, come Yin e Yang, si manifestano unicamente nella reciproca dinamica influenza: uno degli elementi della coppia è definito cioè unicamente dalla contemporanea presenza del suo opposto/complementare, ed il senso della coppia sta unicamente nell’equilibrio armonico dei due.     È un universo di significati caratterizzato da un criterio essenziale di percezione simbolica e di struttura semantica capace di assumere sfumature più o meno accentuate.
     Occorrono quindi diversi equilibri: bisogna leggere molto attentamente la realtà prima di giudicarla, bisogna soppesare con accuratezza  gli eventuali stereotipi, infine bisogna evitare di appiattire le differenze.

     Siamo stati introdotti all’argomento dal dottor Signori il quale ha espresso chiaramente quanto la nostra riflessione guardi alle polarità e non alle differenze di genere, pur presenti. Maschile è l’attività, la forza, la direzione, il comando…… femminile è la passività, la debolezza, la circolarità, la soggezione. Maschile è il fulmine, la freccia, il sole, il fuoco…… femminile è la notte, la luna, l’acqua.     Dentro ogni donna, così come dentro ogni uomo, coesistono aspetti femminili e maschili. Nella tradizione Taoista maschile e femminile entrano nella composizione Yin/Yang del mondo e della razza umana che implica delle norme, delle leggi naturali; tra queste il fatto che due elementi complementari, anche se apparentemente opposti, come maschio e femmina, non possano mai essere presi in considerazione separatamente, ma sempre l’uno in relazione all’altro. Femmina e Maschio, come Yin e Yang, si manifestano unicamente nella reciproca dinamica influenza: uno degli elementi della coppia è definito cioè unicamente dalla contemporanea presenza del suo opposto/complementare, ed il senso della coppia sta unicamente nell’equilibrio armonico dei due.     È un universo di significati caratterizzato da un criterio essenziale di percezione simbolica e di struttura semantica capace di assumere sfumature più o meno accentuate.     Occorrono quindi diversi equilibri: bisogna leggere molto attentamente la realtà prima di giudicarla, bisogna soppesare con accuratezza  gli eventuali stereotipi, infine bisogna evitare di appiattire le differenze.

 

Argomentazione


      L’educazione implica complessità perché l’oggetto della sua riflessione è l’uomo, perciò, i volti dell’educazione; perché questa assume diverse forme, figure, sagome, secondo l’interpretazione o rappresentazione che il contesto storico-sociale le rimanda.


     Di qui il concetto di PAIDEIA, idea antropologica e culturale insieme che si caratterizza come processo ideale di un rapporto tra individuo, cultura e mondo (naturale e sociale), ma è anche processo di educazione che si compie nello spazio e nel tempo, nella società e nelle sue istituzioni.

  
    I ragionamenti, in campo filosofico, religioso e antropologico e, in seguito, in campo neurofisiologico e psicologico, hanno posto la dicotomia della natura umana descrivendola secondo caratteristiche funzionali differenziali.
     Quali le implicazioni in campo educativo?


     Molte, ovviamente, ma, usando un’immagine a cappello, ne deriva un’impostazione generale differente, di coscienza e di comportamento, che viene poi potenziata o meno dall’esperienza personale di vita (che conferma solitamente l’aspettativa di genere e di ruolo).


    Tuttavia, sebbene il condizionamento socio-culturale sia innegabile le ricerche sembrano confermare che, in termini fisiologici, fondamentalmente e prevalentemente, il pensiero femminile si esprime come funzione analogica, ossia i contenuti rappresentativi o le idee vengono associati secondo una modalità curvilinea, ondulatoria, deduttiva, spaziale; mentre il pensiero maschile si esprime prevalentemente come funzione logica che associa secondo una modalità lineare, sequenziale, induttiva, temporale.


     Sono premesse importanti soprattutto per la riflessione sulla scuola che farò più avanti.
 

     Quello che mi preme portare alla vostra attenzione è che anche la prospettiva di genere offre la consapevolezza della polarità maschile e femminile come presenze complementari di un’armonia umana, della consapevole disponibilità e vocazione al mutamento.


      L’educazione, intesa nel suo duplice significato di NUTRIRE (femminile) e TRARRE (maschile) a compimento la persona, si palesa e attua secondo i principi di Intenzionalità, Possibilità e Responsabilità, nella consapevolezza che lo sviluppo armonico di tutte le potenzialità psichiche, sia di tipo maschile, sia di tipo femminile, può essere facilitato da particolari relazioni interpersonali. Il fine è un’educazione di tipo olistico, com-prensivo mediato attraverso la relazione, con il sé, con l’altro, con il mondo!


     La mia riflessione vuole perciò partire da alcune considerazioni sul clima culturale per entrare poi nello specifico dell’educazione a scuola ed in famiglia per proporre, al fine, una relazione pedagogica  che componga, in armonia, il femminile ed il maschile.


IL CLIMA CULTURALE
 

      Abbiamo ascoltato quanto oggi prevalga, secondo la riflessione del dottor Signori, il PARZIALE, Un parziale che non riesce a guardare alla PERSONA nella sua individualità e complessità, ma guarda al funzionamento, al dato strumentale,  al determinato e all’economico....


     Il cucciolo dell’uomo deve essere preparato, armato, alla vita! Deve essere competente, abile, opportunista. Qualcuno ha detto che la civiltà di una società si specchia negli occhi dei suoi figli, dei bambini, nell’educazione.


     Ma la domanda è: quale educazione?


     Una premessa importante riguarda perciò il Dove dell ’educazione. La nostra società sembra caratterizzata da una tristezza diffusa e da una ricerca quasi ossessiva del divertimento, anche i servizi educativi, come i servizi del “benessere” e del “free-time” sono ad imbuto; le risposte si cercano attraverso tecniche e tecnicismi, specializzazioni e luoghi deputati a risolvere i problemi.


     A doppio nodo sembra essere strettamente legata a questa riflessione una recente ricerca secondo cui sono in costante aumento i disturbi psicosomatici e, per quanto riguarda la scuola, i disturbi del comportamento e di apprendimento… il malessere di una società incapace a gestire i cambiamenti o che crede che la migliore gestione si abbia con una ragione di tipo strumentale.


     Recentemente ho letto un libro che mi ha colpita molto, “L’epoca delle passioni tristi”, scritto da due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza, un viaggio che li ha condotti alla scoperta di un malessere diffuso, un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni Tristi”: un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta a rinchiuderci in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, alla quale bisogna rispondere “armando” i nostri figli.


     Secondo gli autori la nostra società è fortemente ansiogena, si vive, infatti, un sentimento di emergenza, di crisi e di destabilizzazione, un vero e proprio quotidiano della precarietà: si insegna a temere il mondo, a uscire indenni dai pericoli incombenti.


     Tuttavia, tale strumentalità non è funzionale alla ricerca della felicità, ad un risparmio di energie che diventa investimento in valori ed interessi di crescita personale; il rapporto che ognuno di noi intrattiene con le tecnoscienze è un rapporto di esteriorità. Ogni società del passato ha posseduto delle tecniche, ma i suoi membri conservavano per lo più con esse un rapporto che potremo definire di intimità: al di là delle evidenti divisioni del lavoro, le tecniche non costituivano una combinatoria autonoma, non funzionavano secondo una propria logica, indipendente da ogni considerazione umana e culturale.

     Siamo come risucchiati in quell’ingranaggio, in quei meccanismi…come Charlot in un famoso frame di “Tempi Moderni”. Una visione utilitarista del mondo dove l’umanità appare costituita da individui isolati che intrattengono tra di loro innanzitutto delle relazioni contrattuali e competitive, facendo passare in secondo piano le affinità elettive, le solidarietà famigliari o di altro tipo. Emerge questa idea della serialità, in cui la sola autorità e gerarchia accettate e accettabili sono determinate dal successo e dal potere personale valutati all’interno dell’universo della merce in cui le relazioni interpersonali si strutturano secondo criteri di utilità, in termini di produzione e profitto.


     Ciò che emerge con tristezza è la crisi del senso di comunità e di responsabilità sociale!


     Accanto ad una progressiva indefinibilità dei confini sociali del concetto di autorità e ruolo riflettiamo anche su un argomento in evidenza negli ultimi tempi, soprattutto sulle riflessioni inerenti il bullismo e i disturbi della condotta: la Contestazione del principio di autorità: le relazioni, infatti, sono sempre più simmetriche, nel senso che la relazione si costruisce all’interno della relazione stessa…non si predefinisce, in nome del rispetto della libertà individuale. Il ruolo dell’adulto si confonde tanto da non portare, ad esempio, i confini, gli orizzonti, di una crescita che risulta bloccata e che rende, oggi, l’adolescenza, così spaventosamente inconsapevole di ciò che era ieri (principio di anteriorità) e di ciò che si vive oggi, nella contestazione di un principio che dovrà necessariamente ristabilirsi, in un’alternanza che permette la crescita ed il cambiamento.


     Paradossalmente, alla crisi dell’autorità non corrisponde una messa in discussione dell’autoritarismo, inteso come sopraffazione del più forte sul più debole che. Una società desacralizzata, dove anche i valori si spendono in luoghi dedicati come associazioni e gruppi nella ricerca di senso comunitario e di condivisione ma anche di rito e di simbolo. Infatti, in una società desecralizzata  non vi sono più i riti di passaggio…e quindi assunzione di responsabilità e di consapevolezza, e quindi di poter trasformare ciò che è stato (anteriorità) cio che è (autorità) e ciò che sarà (futuro).
     Il risultato di tali considerazioni è un’ideologia patchwork, che mette insieme ciò che fa più comodo in un dato momento, che seduce attraverso modelli e format televisivi: dove il giovane non sembra attingere dalla realtà per costruirsi una sua propria originale realtà ma sembra focalizzato a voler diventare come il modello in un sentimento di insoddisfazione personale…. sembra che la nostra società non possa più concedersi il lusso di sperare o di proporre ai giovani la loro integrazione sociale come frutto e fonte di un desiderio profondo.

     Ciò che è sofferente è la speranza, l’ideale, il sentimento di passione e il desiderio nei confronti della vita.


     Educazione come desiderio di imparare e di conoscere, perché l’educazione non si riduce all’assimilazione di “una modalità di impiego della vita”. Inteso in questo modo il desiderio pone in relazione con gli altri e, in tal senso si accorda con le nozioni di molteplicità e di pluralità; pone in relazione, crea legami, mentre l’educazione finalizzata alla sopravivenza implica che “ci si salva da soli”. Nella sopravvivenza, prima o poi, si è “contro gli altri”.


     Solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare dei legami e di comporre la vita in modo di proporre qualcosa di diverso.


     I problemi di apprendimento possono perciò essere intesi come difficoltà di desiderare nella vita, di desiderare la vita. È importante perciò che gli adulti considerino il futuro e ciò che deve essere costruito positivo e desiderabile. Oggi gli adulti hanno interiorizzato il fallimento degli ideali connessi alla visione messianica del futuro e condividono la convinzione opposta, ormai dominante, di un futuro pieno di minacce. Così, si passa dall’invito al desiderio all’apprendimento sotto minaccia.

     Gli adulti temono davvero il loro avvenire e quindi cercano di armare il loro figli in modo che siano armati nei suoi confronti = ogni saper deve essere utile, ogni insegnamento deve servire a qualche cosa = logica economica.


     Perciò abbiamo bisogno di una riflessione sui bisogni e sulle aspettative reali di sviluppare una vera capacità di vivere con diversi ritmi ed intensità.


     Il filosofo cinese Tchouang Tse spiegava che “tutti conoscono l’ultilità dell’utile, ma poche quella dell’inutile”. L’utilità dell’inutile è l’utilità della vita, della creazione, dell’amore, del desiderio….l’inutile produce ciò che ci è più utile, che si crea senza scorciatoie, senza guadagnare tempo, al di là del miraggio creato dalla società.


     Da qui, la necessità di armonizzare, oggi più di ieri, il Maschile ed il Femminile e quindi il rapporto tra cultura e comportamento.


     Gli individui nascono in un universo sociale, relazionale e sono nutriti ed allevati all’interno di una rete di significati, che il più delle volte rimane implicita; accanto a comportamenti e valori intimamente individuali, vi sono comportamenti che risultano e si compongono attraverso continue transazioni comunicative che avvengono tra i diversi individui.


     Definire qualche cosa, un’attitudine piuttosto che un comportamento, come maschile o femminile, viene spesso contestato da coloro che pur essendo maschi o femmine non si riconoscono come aderenti a quella aspettativa di comportamento o, meglio a quello stereotipo di comportamento: una semplificazione della realtà che spesso è esagerato. 


     Il problema vero sorge quando alla potenzialità di classificazione delle mappe cognitive e degli stereotipi, si aggiunge un giudizio di valore che crea, inevitabilmente, una frattura tra il Maschile ed il Femminile che non possono essere ascrivibili ad una semplice differenza di genere.


     La dimensione umana è quindi la questione principe delle nostre argomentazioni.
Un modo di pensare "a misura di vita", come è scritto nel sottotitolo della sua Proposta di pace 2003 dal presidente Ikeda (“L'etica della coesistenza globale. Un modello a misura di vita per la nostra epoca”, Buddismo e società, n. 97, p. 36) riferendosi ad una sensibilità umanistica per la vita sia nella sua totalità sia nei dettagli dell'esistenza quotidiana.


       La cosa importante, quindi, non è semplicemente che le donne ottengano posizioni sociali analoghe a quelle degli uomini. Ciò che conta di più, però, non è raggiungere una determinata posizione sociale, ma come ci si comporta. Se le donne agiscono in modo maschile (e talvolta più che maschile), usando poteri duri come la competizione, il selezionamento, le misure autoritarie ecc., non si può cambiare la società.


EDUCAZIONE E SCUOLA


     Le scuole sono sempre state estremamente selettive riguardo agli impieghi della mente che coltivano, quali impieghi devono essere considerati “fondamentali” quali “accessori”, quali sono le responsabilità della scuola e quali responsabilità di altri, quali adatti alle femmine e quali ai maschi, quali ai bambini della classe operaia e quali ai figli delle classi agiate [...].
Anche l’obiettivo più recente e apparentemente ovvio di dare a tutti un’istruzione di base si fonda su motivazioni che per quanto possano essere giustificate pragmaticamente, sono morali e politiche. I curricoli scolastici e i “climi” delle diverse classi riflettono sempre valori culturali inespressi, oltre che progetti espliciti; e questi valori non si discostano mai troppo da considerazioni riguardanti la classe sociale, il genere e le prerogative del potere sociale [...].



    Ovviamente non tutti traggono uguale profitto dall'istruzione contenuta nella cassetta degli attrezzi della cultura.
     Quando l’obiettivo è la padronanza di qualcosa, vogliamo che gli allievi acquisiscano una buona capacità di giudizio, fiducia in se stessi e che lavorino bene gli uni con gli altri. Sono competenze che non si sviluppano in un regime di “trasmissione” a senso unico.


      Le opere e i lavori in corso creano in un gruppo modi di pensare comuni e negoziabili.


     Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità al suo interno. Se questa identità manca, la persona incespica nell’inseguimento di un significato.


     La mia libertà non è ciò che finisce laddove comincia quella dell’altro ma anzi comincia dalla liberazione dell’altro, attraverso l’altro. Riprendendo il concetto di vivencia di RonaldoToro noi siamo profondamente le situazioni nelle quali viviamo.


     L’obiettivo dovrebbe essere il superamento del ghetto tecnocratico per vivere un mondo di complessità diverse ed arricchenti; nutrire ed accudire il senso sociale, civico della scuola, come prima agenzia educativa dopo la famiglia, portando un tono etico nella formazione dei giovani e nella responsabilità reciproca, dalle relazione interpersonali alle relazioni strutturali, intendendo le relazioni con le diverse istituzioni, garanzia di equità e di condivisione.


     Il bisogno del Femminile si esprime quindi nella complessità della relazione e, a mio parere, in un approccio trasversale e pervasivo tutte le attività ed insegnamenti scolastici: l’affettività e il mondo emozionale.


     Il femminile a scuola
    Trasversale e pervasiva alla progettazione educativo-scolastica dovrebbe essere perciò l’Educazione all’Affettività, non quindi un progetto o un laboratorio ma la cornice entro cui disegnare l’intervento scolastico.

     Il termine affettività è derivato dal sostantivo affetto che a sua volta risale al verbo latino afficere che letteralmente significa “toccare”, ma viene qui utilizzato nel senso di “toccare l’anima”, lo spirito, le emozioni. Un termine latino che esprimeva un concetto simile, anche nel lessico filosofico e - di riflesso - in prospettiva educativa era il termine passio che, riferito all’anima (passiones animae), rendeva l'idea di quelle passioni dell’anima che noi chiamiamo semplicemente passioni o emozioni nel linguaggio corrente contemporaneo.


     a) a livello individuale, come attenzione diretta a ciascuno studente, alla sua auto-stima, alle sue emozioni, alle sue abilità nello studio, alla sua vita e ai suoi progetti;


     b) a livello di gruppo, come attenzione alla natura e alla qualità delle interazioni all’interno dei gruppi in cui gli studenti lavorano e socializzano;


     c) a livello istituzionale, come attenzione di tipo normativo e organizzativo alla qualità della vita e al clima morale della stessa scuola, alla guida e al sostegno che essa offre agli studenti, alla cura e alla preoccupazione per il loro benessere.


     L’educazione all’affettività gioca un ruolo molto importante nella scuola primaria e si collega a tutto il lavoro che sia la famiglia che gli insegnanti svolgono in ordine alla promozione della conoscenza di sé e della propria capacità di relazionarsi con gli altri. Il mondo delle relazioni è colto in tutta la sua ampiezza, ma la socializzazione dei bambini nell'ambiente scolastico rappresenta indubbiamente un'occasione per esplorare dinamiche relazionali di forte risonanza affettiva.


     L’educazione all’affettività nella scuola secondaria di primo grado deve tenere conto della delicata stagione che vive il preadolescente, sottoposto alle sollecitazioni di una crescita in cui spesso non si “riconosce” e di un'immagine di sé che diviene più incerta, anche dal punto di vista del rapporto con la propria corporeità. In tal senso è importante anche la dimensione della sessualità, non certo nella direzione di “istruzioni per l’uso” in termini pragmatici e prestazionistici, ma soprattutto come scoperta di una identità personale che passa anche attraverso un’identità sessuale. Anche la scoperta della possibilità di vivere relazioni affettivamente ed emotivamente coinvolgenti con persone dell’altro sesso, intesa non certo come una sorta di “necessità”, ma come una caratteristica che accompagna i fisiologici dinamismi relazionali, può rappresentare un'occasione preziosa per riflettere su se stessi e sulle modalità con cui ci si rapporta con gli altri. Un ruolo importante riveste l’esperienza dell’amicizia, che può dispiegarsi con diverse modalità, in cui si palesa la necessità di superare forme infantili, “simbiotiche” o compensatorie delle proprie difficoltà di rapporto con se stessi.
     Altro elemento controcorrente rispetto ad una logica strumentale e tecnicistica dell’insegnamento e della vita scolastica è il Diritto alla lentezza in ragione del fatto che il bambino ha una percezione del tempo differente da quella dell’adulto: vive nel tempo presente; un diritto che si esprime attraverso il rispetto nell’apprendere secondo i ritmi naturali del bambino-ragazzo e non adattandosi a quelli degli adulti; il diritto ad essere rispettato nella sua integrità fisica e morale; ad avere spazi propri in cui poter esprimere la sua esigenza di fare, in cui potersi muovere senza incorrere in pericoli e concentrarsi su ciò che più lo interessa; il diritto ad essere apprezzato ed incoraggiato per quanto di nuovo crescendo conquista, ma anche per ciò che ancora non riesce a fare; diritto alla comprensione, all’ascolto, al riconoscimento del proprio sé in evoluzione.

     Attività da progettare secondo percorsi nuovi: rispettando la globalità del bambino, favorendo la sua reale partecipazione attiva all'elaborazione ed alla realizzazione delle stesse.


     Diventa quindi fondamentale elaborare un serio progetto educativo e pedagogico che possa servire da modello di riferimento per la programmazione del lavoro e per valorizzare a pieno le risorse formative. Tale approccio permette di concretizzare, nel senso di rendere visibile, la filosofia dell’educazione che abbraccia il protagonismo del bambino e la sua naturale socialità-relazione; di cogliere le attività progettate nel loro senso di esperienze personali vissute e partecipate in una visione globale e coerente.


      Una proposta in tal senso parte da:


      - Una nuova organizzazione dei tempi dell’educazione dove vi sia una corretta alternanza di attività intense e calme, svolte individualmente, a piccoli gruppi e in collettivo, nel rispetto dei tempi d'attenzione e dell'età dei bambini sono i principali strumenti da organizzare in questa prospettiva..

      - Praticare delle attività che favoriscano lo sviluppo globale del bambino: occorrerà poter svolgere attività diversificate, con materiali e tempi di realizzazione adeguati, con percorsi metodologici orientati al rispetto dei bisogni profondi dei bambini. Ciò implica da parte degli educatori uno sforzo propositivo che permetta ai ragazzi di ritrovare piaceri ed esperienze spesso trascurate : giochi, giochi cantati, canti, attività drammatiche, attività manuale ed espressive, attività di scoperta d'ambiente.
     Lo scopo è far emergere nuovi interessi, nuovi progetti che vedano i bambini non fruitori passivi di un programma preconfezionato dagli adulti, ma realmente partecipi e coinvolti.


     - Un contatto attivo con l'ambiente circostante, umano, urbano, naturale assumerà uno spazio molto ampio, così come l'utilizzo delle risorse materiali offerte dal contesto d'accoglienza.


     - Favorire la conquista di una sempre più grande autonomia: essa passa, in realtà, attraverso tutte le attività, comprese quelle della vita quotidiana e materiale. La vita quotidiana non è solo il meccanico soddisfacimento di bisogni materiali, ma occasione di crescita personale e sociali senza eguali, fonte e di piacere e di relazioni interpersonali molto significative .


     - Favorire la socializzazione: la vita collettiva dovrà essere organizzata in maniera da permettere una grande ricchezza di relazioni tra bambino e bambino, tra adulto e bambino nel rispetto dei bisogni di sicurezza affettiva.
     I bambini hanno quindi bisogno di strutture di riferimento diversificate.


     - Ruolo dell’insegnante: è "educatore" e come tale assume un ruolo di responsabilità nei confronti dei ragazzi, lavora in equipe e verifica quotidianamente il lavoro svolto. È attento alla programmazione delle attività che tenga conto delle reazioni e delle proposte dei bambini, si relaziona con la famiglia in maniera coerente e serena.


     Infine, che è inizio, è garante di un preciso progetto pedagogico.


     Per una scuola in grado di insegnare a vivere mediante la vita stessa, per mezzo di un insegnamento unitario delle materie l’idea-perno principale è:
    unità: programma deve tendere all'unità, tutti gli argomenti trattati devono essere collegati tra loro.
individualizzazione dell’apprendimento: ogni allievo deve essere messo in grado di raggiungere il massimo profitto dall'educazione.
    adattamento all’ambiente: deve dare al bambino la possibilità di raggiunge le conoscenze che gli consentano di inserirsi nell'ambiente sociale in cui sarà destinato a vivere.
     integrità dello sviluppo: deve coltivare e rafforzare tutti gli aspetti dell’individualità infantile.


     (Presenza delle famiglie nelle attività extrascolastiche)


     EDUCAZIONE E FAMIGLIA


     Nella famiglia postmoderna esistono diversi problemi ancora aperti, uno di questi, forse il più significativo, è quello che ruota intorno al cambiamento della figura paterna.


     Oggi, rispetto al passato, i contenuti normativi non dipendono dai valori che si è deciso di trasmettere a priori o dall’imposizione di certi modelli conformi alle proprie attese, quanto dalla qualità delle relazioni. Queste necessitano di una continua e faticosa opera di negoziazione all’interno dei cambiamenti del ciclo di vita e dei diversi compiti evolutivi che spettano ai genitori. E' ormai chiaro un significativo orientamento verso rapporti più democratici e ruoli più flessibili all’interno della coppia, con l’accettazione delle reciproche differenze ed autonomie. Di conseguenza anche il rapporto tra genitori e figli risente di un orientamento verso un riconoscimento dei bisogni individuali che deriva, senza dubbio, da un investimento affettivo fatto di maggiori attenzioni e rispetto per l'infanzia.


     Gli studi sul ruolo paterno negli ultimi anni hanno avuto un crescente sviluppo soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti maggiormente collegati al contesto socioculturale e al rapporto di coppia.


     Per quanto riguarda la variabile socioculturale, ad esempio, alcune ricerche dimostrano che le caratteristiche associate al ruolo materno di caregiver sono più stabili, perché legate anche a fattori biologici, al contrario, quelle paterne, sono più legate a variazioni sociali, politiche e culturali. Tuttavia tutti sono concordi nell’affermare che in questa fase di transizione, accanto alla figura paterna tradizionale coesiste quella di un padre moderno più “allevante ed accudente”.


     In Italia rispetto ad altri paesi questa coesistenza genera non poche contraddizioni e disagi psicologici personali. “La famiglia dominata dal padre e centrata sulla madre”, pur nelle sfumature e diversità che dividono il nostro Paese, sembra ancora ben presente e molti dubbi emergono sulla “spontaneità” dei nuovi comportamenti spesso legati a fattori d’ordine pratico, come per esempio la divisione dei compiti nelle famiglie a doppia carriera in cui entrambi i genitori lavorano.


     Ancora non sappiamo come riuscirà l’istituzione familiare a conciliare quei valori che guidavano i vecchi modelli comportamentali, ancora presenti e stratificati nella nostra cultura, ed i nuovi valori che fondano l’autorevolezza paterna e rappresentano il modello che attualmente sembra funzionare di più.


     I risultati di una recente ricerca sugli stili genitoriali all’interno di un campione costituito da 25 diade madri-figli corrispondenti a 25 diadi padri-figli, videoregistrate dai 3 ai 13 mesi di età, dimostrano che, al contrario del passato, i padri mostrano come le madri comportamenti di protezione, contenimento ed affettività. Le differenze tra lo stile paterno e quello materno si rivelano, per i padri, in comportamenti, che stimolano il bambino ad apprendere competenze motorie e sociali, per le madri in comportamenti più pacati e mediati dai giocattoli. Questi risultati ci fanno ben sperare sull’ampliamento dello spazio relazionale dei padri e quindi dell’emergere del femminile.


    FEMMINILE E MASCHILE NELLA RELAZIONE PEDAGOGICA


     I primi anni di esperienza famigliare e scolastica e le relazioni che i bambini sperimentano possono consolidare e arricchire la mente e la personalità, ma possono purtroppo anche rallentare o ostacolare il potenziale conoscitivo e creativo. Sicuramente, i contesti e le esperienze della prima infanzia contribuiscono in maniera significativa alla formazione di una identità e di una cultura del maschile e del femminile che accompagnerà e segnerà la crescita in età evolutiva.


     La caratterizzazione di genere è perciò tra i fondamenti della formazione della personalità, ed acquista una funzione e una risorsa pedagogica quanto più tiene conto della differenza del mondo infantile, in continua evoluzione, rispetto ai modelli adulti già strutturati e consolidati. I bambini sono duttili alla vita, si confrontano con la realtà mettendosi in gioco; si formano in un “eterno” presente. L’adulto dovrebbe essere perciò in grado di accompagnare e di guidare questa spinta alla vita senza preordinarne gli effetti, abbandonando quegli schemi mentali che precludono il cambiamento ed il confronto con la realtà. Questa prima qualità pedagogica, probabilmente più congeniale all’essere femminile, è quell’apertura alla vita, al nuovo, al cambiamento, che non ammette corazze e irrigidimenti, che dà respiro e fluidità al pensiero, che accoglie il diverso da sè senza preconcetti.


     Un educatore dovrebbe avere quindi un’adeguata cultura dell’infanzia (in tutta la sua complessità), al fine di  supportare e orientare ogni progetto didattico, come pure un pensiero sul ruolo dell’emotività e sul maternage.


     Pensare culturalmente l’infanzia significa riconoscere seriamente la sfera emotiva del bambino; quando questa, ad esempio, viene definita dagli adulti la “parte fragile” o il “lato femminile” del maschio, si induce il bambino, fin da piccolissimo a negarla, a soffocarla, come se non gli appartenesse; si deve essere consapevoli che le emozioni sono parte integrante della personalità, dei maschi e delle femmine e che sono in grado di dare colore e qualità ai saperi; l’esperienza, tutta, dovrebbe avere risonanze emozionali.


     L’educatore deve sapere operare, non solo nelle relazioni con alunni e alunne, ma anche nello specifico dei contenuti didattici, prendendo in considerazione il potenziale emotivo maschile e femminile, su cui si possono costruire nuove culture.


     Valorizzare la diversità dell’altro, oltre ad essere il naturale completamento di una cultura della differenza, è il vero processo pedagogico di trasformazione nella relazione tra uomo e donna. Fino a quando ci saranno madri, oltre che padri spaventati delle parti, “fragili” dei figli maschi, madri, oltre che padri che, “contano” sulla loro mascolinità, o che confondono la loro propria fragilità con quella del figlio, continueranno ad esserci bambini che, per non deludere le aspettative materne oltre che paterne, si mostreranno forti senza esserlo, destinati ad usare la violenza per coprire debolezze e insicurezze mai elaborate, futuri adulti costretti ad assumere il “pensiero forte” e la logica del potere per tenere a bada ciò che da bambini era fonte di disagio interno.


     Un altro elemento che dà autorevolezza alla relazione pedagogica e che nell’età infantile è una condizione quasi indispensabile per un apprendimento motivato, è il gioco.

     Attraverso il gioco si dà un senso di “leggerezza” al rapporto di autorità e si motiva ed interessa il bambino alla Vita. Uno spirito ludico che permette, inoltre, di prendere la giusta distanza dalle cose “serie” della vita, senza banalizzarle. Leggerezza è la capacità di creare quello spazio tra sé e il bambino o la bambina che è il terreno del “gioco”, spazio in cui le bambine e i bambini possono sperimentarsi, provare, sbagliare, simulare, nel tempo in cui costruiscono la loro personalità e le loro conoscenze. Spazio che permette di crescere grazie ad una autorità a cui affidarsi, spazio che dà respiro alla relazione e impedisce di costruire solo su questa le proprie sicurezze, perché altre spinte muovono una mente libera verso l’incontro con altre realtà.


Bibliografia:
“L’epoca delle passioni tristi” M.Benasayag e G. Schimt
“Educare al femminile” di S. Ulivieri
“Maschile e femminile. Il pensiero della differenza” di Francoise Heritier
“Educare è comunicare” Attilio Danese e Angela Rossi
“Il genere come risorsa comunicativa. Maschile e Femminile nei processi di crescita” di Elena Besozzi
“L’alfabeto delle emozioni- giochi e strumenti per l’alfabetizzazione emotiva”. Carmela Lo Presti
“L’allenamento emotivo per i bambini”. Carmela Lo Presti
“L’educazione socio affettiva nelle scuole” a cura di Marco Maggi