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*Gesù nella regola di S. Francesco

Ecco la conferenza del giorno 09 Ottobre 2008

Tutta la regola di S. Francesco è irrorata da Gesù. Essa infatti indica che i frati vivano secondo il Santo Vangelo. E per vivere il santo Vangelo, senza proprio in castità e in obbedienza, è scritta appunto questa regola.

Vivere, ossia completare la vita umana assimilandola a quella di Gesù, che è il Vangelo di Dio. L’uomo raggiunge davvero la completezza umana, se impersona Gesù.

Dio infatti che li ha creati, conosce l’uomo e la donna; perciò la completezza loro, ossia diventare totalmente quello che si è (epigenesi, direbbero gli esperti), è necessario rispondere al progetto umano inventato da Dio. Quale è questo progetto? Diventare l’uomo completo (perfetto, dice Paolo). Un modello di uomo completo, ossia perfetto, il Padre ce l’ha indicato e creato chiaramente, Gesù Cristo.

Se noi ci assimiliamo a Gesù, non solo non ci alieniamo da noi, come vorrebbero i detrattori del cristianesimo, ma finalmente ci troviamo totalmente nel nostro essere autentico. Paolo: “Vivo io, eppure non vivo io, ma vive Cristo in me”.

Osservare e vivere il Vangelo, ritrovare la maturità di noi stessi, è lo scopo di Francesco nello scrivere la Regola.


Gesù è presente nella regola attraverso la permeazione sua in tutta la regola, ma alcuni momenti questa presenza affiora in termini espliciti. Tre modi ai affiorare si possono cogliere: dove esplicitamente  egli è nominato, dove è ricordato con altre parole, e dove si presenta con le parole del Vangelo.

1°- Il nome di Gesù.

All’inizio appare subito il nome di Gesù, che dona l’intonazione a tutta la regola: “La regola e la vita dei frati minori è questa: osservare il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo”.

Osservare, non è solo guardare con attenzione, ma immergerci. Se ricordiamo l’evento della stimmate, comprendiamo meglio che cosa rappresentasse per Francesco l’osservare. Narrano il Celano e S. Bonaventura, che durante una immersione profonda nella realtà del Crocifisso, Francesco vide quell’uomo, che poi fu un serafino, apparigli e dopo l’apparizione Francesco si trovò con le impronte della stessa passione di Gesù nel proprio corpo. Osservare è quindi immergersi con la mente e con il cuore in Gesù, nel suo essere Vangelo per noi.

Nel capitolo 3° ricompare il nome di Gesù. Quando ricordo il nome di Gesù, mi sovviene S. Bernardino da Siena che per la sua propaganda del nome di Gesù, fu addirittura accusato di eresia! È scritto: “Consiglio poi, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo”. Prima di tutto notiamo che, pur essendo nel pieno di una regola, Francesco non comanda, ma consiglia, ammonisce ed esorta. Ossia non si tratta di un ordine, ma di un comportamento utile e opportuno. Il comportamento si riferisce al modo di agire fuori convento (quando vanno per il mondo). Sa che la debolezza umana potrebbe condurre i frati (non avviene anche nei conventi?) a litigare, a disputare con parole, a giudicare gli altri. Allora li consiglia di essere miti, pacificatori, modesti, mansueti, umili, parlando in modo onesto (cioè senza volgarità) e conveniente.

In questo caso il nome di Gesù si staglia, proprio perché Gesù fu mite e umile di cuore, come recita una traduzione del vangelo. Si comprende perciò l’ammonizione: qui si tratta non di un semplice comportamento nobile e razionale, ma di una assimilazione dello stesso modo di essere di Gesù.

Nel capitolo 6°, ricompare il nome di Gesù. “E a questa povertà, fratelli carissimi, totalmente aderenti, non vogliate aver altro sotto il cielo per sempre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”. Come mai esce il nome di Gesù in questo contesto della povertà? Per Francesco Gesù fu povero, perciò il vivere la povertà nel nome di Gesù e viverla con lui, anzi dentro di lui.

Nel capitolo 10° ritorna il nome di Gesù in un contesto che ci ricorda il capitolo 3°. “Ammonisco poi ed esorto nel nome del Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia dalle cure e dalle preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione”. Qui i comportamenti virtuosi non si raccomandano perché i frati siano buoni, ma perché entrino nel nome di Gesù.

Ancora una volta riappaiono l’ammonizione e l’esortazione, che sono la modalità francescana di indicare le direttive. Forse Francesco era convinto che solamente l’esortazione era adatta a far entrare i frati nell’atmosfera autentica di Gesù.

La regola si conclude, al capitolo 12°, con il ricordo esplicito del nome di Gesù: “Sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, umiltà e il Santo vangelo del Signor nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso”.
Sudditi e soggetti, non obbedienti, ma sottomessi. La promessa è l’osservare il Vangelo di Gesù. La sottomissione è in vista di conservare la fede cattolica, per attingere attraverso essa l’osservanza del Vangelo di Gesù.
 La Regola si inizia con il Vangelo e si conclude con il Vangelo, ossia con l’immersione nel Signore Gesù Cristo.


2°- Il richiamare Gesù, attraverso sinonimi.

Secondo questa modalità i richiami sono più numerosi, e si nascondono dietro la parola “Signore”. “L’ispirazione del Signore” (cap. 2°). “Natività del Signore”, “Resurrezione del Signore”, “Il Signore santificò con il digiuno” del capitolo 3°. Questo è un ritmare la vita dei frati secondo le indicazioni della Liturgia. Però mi sembra significativo notare, che nella regola non si parla semplicemente di Natale, Quaresima ecc., ma si sottolinea che il Natale e la Risurrezione sono del Signore. Quindi il ritmo è sì della liturgia, ma essa si articola attorno al Signore.

Nel Cap. 7° ancora è richiamato Gesù: “Il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo”. È interessante sottolineare la povertà di Gesù, come stimolo alla povertà dei frati, perché tutto deve essere vissuto secondo il Santo Vangelo.

Nel Cap. 9°: “Il Signore disse sulla terra parole brevi”, così recita la traduzione, forse non del tutto fedele del latino: “Quia verbum abbreviatum fecit Dominus super terram”. Chiaramente il senso proprio del testo sia originale che latino, sebbene riportato da Francesco per dimostrare la sua indicazione, ha un significato diverso da ciò che Francesco intendeva dire.

Cap. 11°: “Dice il Signore: amate i vostri nemici …”
Notiamo che altre volte Francesco adopera il termine “Signore”, ma sembra riferirlo a Dio, meramente. Infatti troviamo nel cap. 2°: “Secondo l’ispirazione del Signore”, che poi diventa, nello stesso capitolo: “secondo Dio”. – Nel cap. 3°: “Siano benedetti dal Signore”. – Nel cap. 4°: “Quei frati, ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare…” – Cap. 8°: “Siano tenuti nel nome del Signore ad eleggersi un altro custode”.


3°- Il richiamare Gesù attraverso la ripetizione delle sue parole.

Le citazioni sono numerose, perché la regola zampilla dal Vangelo e al Vangelo desidera condurre. Richiamiamo i testi esplicitamente riferentisi al Vangelo.

Nel cap. 2° leggiamo: “Vadano e vendano tutte le cose loro [latino: vendant omnia sua] e procurino [latino studeant] di darlo [latino: erogare, che è più di dare, ossia dare generosamente] ai poveri” (Cfr Mt 19-21). Il Vangelo perciò è a sostegno della povertà, che tanto interessava Francesco, che da ricco volle diventare povero, sull’esempio di Gesù.
Nello stesso capitolo, per indicare che i frati una volta votati all’osservanza del Vangelo, non ritornassero più indietro, Francesco scrive: “In nessun modo sarà lecito uscire da questa Religione, secondo il comando del Signor Papa, poiché, secondo il Vangelo nessuno ponendo la mano all’aratro e voltandosi indietro è adatto al regno di Dio” (Cfr Lc 9,62).
In questo testo, sembra che Francesco rafforzi le parole del Papa con la citazione del Vangelo. Però, a ben osservare, egli sottopone anche il Papa al Vangelo: le parole del Papa hanno valore perché riecheggiano il Vangelo.

Nel cap. 3°, dopo aver ricordato un testo di Paolo, Francesco basa la sua missione di pace (“Evitino le dispute a parole”: cfr Lettera a Timoteo) sul testo evangelico: “In qualunque casa entreranno all’inizio dicano: Pace a questa casa. E secondo il Vangelo sarà loro lecito mangiare qualsiasi cibo sarà loro approntato” (Cfr Lc 10.5). Mi sembra ovvio ricordare che S. Francesco aveva indicato norme chiare per i digiuni, una della quali è posta proprio nello stesso capitolo: “Nel tempo di manifesta necessità i frati non sono obbligati al digiuno corporale”. Come si vede la manifesta necessità è anche la semplicità nell’accettare da poveri ciò che viene offerto.

Nel cap. 5°: una citazione di S. Paolo circa il “Non spegnere lo Spirito” (Cfr 1 Tes 5,19).

Anche nel cap. 6° troviamo una citazione delle lettere di Pietro e agli Ebrei (“pellegrini e stranieri”), una citazione della 2ª Lettera ai Corinti (“Cristo si è fatto povero per noi”), un richiamare “la terra dei viventi” (come dei Salmi e in Filippesi).
Presenza questa del Nuovo Testamento sebbene chiaramente non dei libri del Vangelo.

Per trovare citazioni esplicite del Vangelo ci si rivolge al cap. 10°, dove troviamo:
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano. Beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, dei quali stessi è il regno dei cieli. Chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo”. Qui si tratta di vivere la povertà, in una delle forme più esplicite e difficili, che è quella povertà di comportamenti, corredata di umiltà.
Jocopone da Todi. L’aveva cantata: “Povertate poverella – umiltate è tua sorella, - a te basta una scudella – et a bere et a mangiare”.

Nel cap. 12° ci incontriamo con un frase della Prima Lettere di Pietro e della Lettera ai Colossesi: “Stabili nella fede”.
Si può facilmente osservare che la Regola Bollata, cioè quella ufficiale, è meno ricca di citazioni scritturistiche che non la prima Regola, quella non bollata, ma ugualmente, e forse di più, significativa per scoprire lo spirito di Francesco. In questa Regola le citazioni sono lunghissime, proprio perché il Vangelo era la magna e unica charta del francescanesimo. Perfino il cap. 14° è meramente tutto una citazione della Scrittura.


4°- Presenza continua di Gesù.

Una premessa: Come si forma la “Regola” francescana?

1220 circa: Francesco è in Oriente. Intanto in Italia sorgono diverse divergenze tra i frati, che fino allora, secondo l’indicazione di Francesco, tra l’altro contrario inizialmente a scrivere regole monastiche, avevano semplicemente seguito il S. Vangelo. I “seniores” dell’Ordine vorrebbero imporre ai frati una regola monastica. Un frate vuole creare un Ordine dei lebbrosi tra i due sessi. Un altro chiede privilegi per le Clarisse. A Bologna i frati si costruiscono una casa.
Francesco ritorna in Italia, con Frate Elia, e vuole riportare la pace e l’unità. Il Cardinale Ugolino, avvicinato da Francesco, consiglia l’adozione di una regola monastica già esistente; ma Francesco rifiuta. Poi anche pressato dai frati e dalle circostanze, si ritira a Fonte Colombo, e, assistito da Frate Leone e da Frate Bonizzo, detta delle formule, secondo l’ispirazione di Dio, che poi sono corredate dalla Sacra Scrittura con l’aiuto di Cesario da Spira. Frate Elia, davanti alla contrarietà dei Frati di accettare la Regola, la nasconde, e perciò Francesco si ritira nuovamente e scrive la seconda Regola, che sarebbe poi stata approvata, dopo alcune correzioni. Nel 1223 la regola, presentata al Cardinale Ugolino, fu approvata da Papa Onorio, che apportò anche qualche piccola modifica.

Questa è la regola presente, che, come dice Francesco nel suo Testamento, “io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere e il signor Papa me lo confermò. Notiamo subito che le due mani sono presenti: l’ispirazione evangelica di Francesco e la conferma autorevole del Papa. Ispirazione evangelica e imposizione canonica.

La presenza di Gesù però non è confinata soltanto nelle citazioni esplicite o implicite, ma essa permea tutta la Regola, perfino nei tratti dove si indicano delle norme disciplinari e dei comandi. Per i francescani la persona di Francesco è “Forma Minorum”. Però per Francesco Gesù è la forma di Francesco. A questa noi ricorriamo, soprattutto quando la parte caduca della Regola viene meno, tenendo presente che il francescanesimo è in continua evoluzione nella storia, seguendo proprio quel “secondo i luoghi, i tempi, le regioni fredde”, nel cap. 4° applicato al mantenimento dei frati.
Quale è questa presenza  costituente cristica della Regola? La regola non è solo regola, ma è vita, come nota l’inizio della stessa Regola.

Francesco, che s’era prefissato di cambiare vita, dopo la sua rinuncia alla vita borghese, non sa dove indirizzarsi. Finalmente apre il Vangelo e lì trova l’orientamento definitivo della sua vita. Vangelo solo Vangelo. Il Vangelo è travasato nelle vene anche della Regola. Osservando attentamente possiamo rintracciare nella regola due piani: il piano essenziale e valido sempre, e il piano disciplinare, di per sé caduco.

Già l’inizio della Regola si pone su due piani: Osservare il Vangelo, e la scelta del nulla di proprio, dell’obbedienza e del celibato. Il Vangelo è la base, i voti sono uno delle possibilità di vivere il Vangelo, non l’unica. Il Vangelo è lo spirito che vitalizza, i voti sono la scelta di uno dei modi di tradurre il Vangelo. Perciò tutto ciò che riattizza il Vangelo è mantenuto, mentre ciò che riguarda la disciplina, anche l’interpretare i voti, può essere variato. La storia delle Costituzioni, che cambiano lungo la storia, è dimostrazione del duplice piano. Già prima delle Costituzioni, Francesco stesso ebbe il bisogno di stilare il suo testamento, con delle piccole varianti, tanto che lui stesso dovette difendersi dalle critiche, così: “E non dicano i frati che questa è una nuova regola…”.

Perciò nasce l’esigenza di riconoscere bene ciò che è linfa del Vangelo e ciò che deriva da un necessario disciplinamento di un gruppo di persone.
Eppure, proprio questo lavoro di riconoscimento è difficile, perché non è agevole misurare i due piani, e quanto da uno di essi passi all’altro.

Francesco familiarizzava con la Scrittura. Le sue preghiere i suoi scritti, le sue esortazioni, richiamano sempre un senso della Scrittura.
Alcune sottolineature attorno a qualche nucleo, possono aiutarci a individuare la presenza di Gesù, o del Vangelo, nella Regola.

a)- Il titolo del Primo capitolo pone tutta la regola in un’atmosfera di Vangelo: “Nel nome del Signore comincia la vita dei frati minori”. Quindi una vita nel nome del Signore. Quel nome del Signore regge la vita e la regola dei Minori. Solo dopo aver scritto che la vita è nel nome del Signore, Francesco aggiunge anche la regola, nella riga successiva.
Francesco infatti dalla sua vita ricava le indicazioni della Regola. Però la vita di Francesco è vita immedesimata in Gesù. Perciò i tre voti e l’obbedienza al Papa sono sotto la luce del Vangelo.
Le leggi della Regola non sono leggi sulla base di chissà quale fondamento legale, ma indicazioni che alimentano la vita.

b)- Una delle prime conseguenze dell’evangelicità della Regola è la stessa costituzione del gruppo. Esso non è congrega, monastero, organizzazione, ma semplicemente “fraternità”. Il lemma “frate” è l’unico con il quale Francesco designa i suoi, gli appartenenti alla stessa famiglia. Perfino i termini familiari sono usati nella Regola: i frati devono curare gli ammalati come una madre cura i figli.
I superiori sono servi, cioè ministri degli altri frati. Tra di loro i frati si comportino affabilmente.
“I frati che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro fratelli e li correggano con umiltà e carità, non comandando loro nulla che sia contrario alla loro vita e alla nostra Regola” (cap. 10).
“Dovunque ci fossero frati che sapessero e conoscessero di non poter spiritualmente osservare la Regola, devono e possono ricorrere ai loro ministri.” Anche questa è una proprietà della fratellanza tra fratelli.
Perfino nel riprendere i frati, i Ministri devono riguardarsi dall’adirarsi, poiché l’ira impedisce in sé e negli altri la carità.

c)- Nella fraternità si viva la preghiera, privata e comune secondo le norme della chiesa, in particolare quelle che si attuano nella curia romana.
Nella fraternità si viva assieme anche la penitenza, segnata dalle Quaresime.
La fraternità deve restare povera, anche nelle necessità, quando solo ai ministri è concessa la facoltà di provvedere al mantenimento dei frati, secondo le circostanze (cap. 4). La povertà, secondo il cap. 6° della Regola, è altissima perché costituisce tutti i frati “eredi e re del regno dei cieli”, mentre i frati non debbono aver altro sotto il cielo per sempre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

d)- Altre osservanze sono viste tutte in armonia con il Vangelo. Chi lavora lo fa per grazia di Dio. Chi predica, deve predicare seguendo le indicazioni comportamentali del Vangelo. Chi va tra gli infedeli, lo fa per divina ispirazione. L’aver un protettore tra i Cardinali, affinché la sottomissione alla curia, aiuti ad “osservare la povertà, l’umiltà e il Santo Vangelo” (cap. 12).

Concludendo, in ogni pagina della Regola serpeggia la presenza di Gesù, che è la vita di Francesco e dei suoi fratelli, lungo tutti gli anni.