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*“Il Santo” e il Concilio Vaticano Secondo.

            (spunti di confronto)

Il presente mio approccio al Fogazzaro è molto parziale e, soprattutto, mirato.

Non mi fermo sul valore estetico e narrativo del romanzo. Giudizi molto vari sono stati emessi su di esso: dalle stroncature di Benedetto Croce, alle osservazioni di Bacchelli, alle lodi di Gallarati Scotti, o di Nardi.

Non mi attardo neppure sulle trame amorose e affettive interne al romanzo, pur considerando il chiaro intenerimento del Fogazzaro per la psicologia femminile; non mi attardo neppure sulle descrizioni dei luoghi e dei personaggi, dei quali si intuisce l’interiorità, non desumendola dalle loro azioni, ma trovando direttamente descritti i loro sentimenti e i loro pensieri dentro una natura sempre complice, il tutto descritto con una finezza minuziosa e analitica talvolta quasi ossessiva. Eppure analitico sì il Fogazzaro, ma capace di estese sintesi. Infatti in un tempo nel quale ancora si stava formando l’italianità, Fogazzaro la esprimeva robustamente; quando l’interpretazione positivistica della scienza cercava di scalzare la religione e mentre una certa corrente massonica voleva trasformare l’Italia in una barriera contro la Chiesa (per capirvi qualche cosa, basta leggere un testo come “Risorgimento anticattolico” della Pellicciari), egli si dichiarava cattolico fino alla sofferenza della sottomissione a una condanna immeritata. In sé quindi univa in sintesi la politica, la scienza e la fede (evidentemente, meno la teologia).

Non bado neppure ai comportamenti del Santo, alle sue penitenze medievali, perfino alle sue crisi spirituali, descritte in maniera enfatica (a differenza, per esempio, della descrizioni delle crisi di Don Clemente), fino a entrare in dimensioni mitiche, tanto da apparire un superuomo rovesciato. Io amo accostare i santi in quanti uomini, perché uomini prima di tutto; proprio come Gesů, figlio dell’uomo. E poi sono convinto che solo un santo può descrivere adeguiatamente un altro santo, come avvenne con S. Bonaventura. Quando questi scriveva la “leggenda” su S. Francesco, S. Tommaso d’Aquino che voleva  incontrare Bonaventura, si ritrasse : “Non disturbiamo un santo, quando scrive di un altro santo”.

Forse Fogazzaro, per descrivere il suo santo, ricorse a qualche forzatura. Ognuno nutre una personale idea della santità, da attribuire agli altri, ma non a se stesso. Eppure proprio queste fantasie allontanano dalla santità personale di chi le descrive. Descrivere un santo come un eroe irraggiungibile, dispensa i credenti dal vivere la propria semplice santità, vissuta serenamente ogni giorno nel renderci disponibili alla volontà di Dio, come è discritta, per esempio, nel Levitico (cap. 19, 1 segg.).

I comportamenti di una santità oleografica, attribuiti a Piero Maironi, sono però serviti da cornice antica, un po’ tarlata, per inserire in essa la tela delle nuove idee dell’autore. Idee, in quei tempi, pericolose, che, se espresse dal Fogazzaro direttamente sarebbero state giudicate peccaminose. Invece espresse da un santo, descritto come un santo medievale, potevano essere accolte o almeno sopportate, se non digerite.
Io mi attardo proprio su queste idee, sia espresse da Giovanni Selva e dai suoi amici, sia dichiarate direttamente a piů riprese da Benedetto, il santo.

Queste idee riguardano la fede, e, in parte preponderante, la riforma, o, come dirà più tardi Papa Giovanni, l’aggiornamento della chiesa.

Perciò il mio raffronto tra “Il Santo” e il Concilio Vaticano Secondo, lo incentro principalmente sulla linea del rinnovamento della chiesa, che Paolo VI ha sintetizzato in una domanda: “Chiesa, che cosa dici di te stessa?”.
Agli effetti della mia riflessione, mi sembra utile ricordare tre colloqui. Il primo  breve, all’inizio del romanzo, in casa di Giovanni Selva. Il secondo quello durante l’udienza notturna di Benedetto dal Papa. Il terzo nella povera casina poco prima della morte di Benedetto. Discorsi nelle tenebre, che esprimono il pensiero di Fogazzaro, quel pensiero che, nel presentare l’enciclica “Pascendi Dominici Gregis”,  il Momigliano, chissà perché, definisce “nebuloso riformismo”.

1°- Discorso in casa Selva

Nella citazione delle pagine de “Il Santo”, seguo l’edizione Mondadori del 2000.

A pagina 34 leggiamo: “Ecco siamo parecchi cattolici in Italia e fuori Italia, ecclesiastici e laici, che desideriamo una riforma della Chiesa. La desideriamo senza ribellioni, operata dall’autorità legittima. Desideriamo riforme dell’insegnamento religioso, riforme del culto, riforme della disciplina del clero, riforme anche nel supremo governo della Chiesa. Per questo abbiamo bisogno di creare un’opinione che induca l’autorità legittima ad agire di conformità sia pure fra venti, trenta, cinquant’anni. Ora noi che pensiamo così siamo affatto disgregati. Non sappiamo l’uno dell’altro, eccetto i pochi che pubblicano articoli  o libri. Molto probabilmente vi è nel mondo cattolico una grandissima quantità di persone religiose e colte che pensano come noi. Io ho pensato che sarebbe utilissimo, per la propaganda delle nostre idee, almeno di conoscerci. Stasera ci si unisce in pochi per una prima intesa”.

Sembrano queste parole una spece di programma basilare dell’opera desiderata da Fogazzaro. Il libro, del quale ora ci si interessa, fu pubblicato nel 1905. Il Concilio si aprì nel 1962, cinquant’otto anni dopo: cioè otto anni più tardi di quanto previsto dal Fogazzaro: sforamento di soli otto anni, se consideriamo il lento cammino della chiesa. Dai documenti del Concilio leggiamo alcuni stralci.

Per la citazione dei documenti conciliari, mi servo dell’edizione dehoniana “Enchiridion Vaticanum” 1968, VII edizione, seguendo i numeri marginali.

“Tutti i cattolici devono tendere alla perfezione cristiana e sforzarsi, ognuno secondo la sua condizione, perché la Chiesa, portando nel suo corpo l’umiltà e la mortificazione di Cristo, vada di giorno in giorno purificandosi e rinnovandosi, fino a che Cristo se la faccia comparire innanzi risplendente di gloria, senza macchia né ruga” (513).

“Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno, sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l’unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi rispettino la carità” (514).

“Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui, dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione  della Chiesa” (317).

Evidentemente le parole di Fogazzaro e quelle del Concilio coincidono: progresso nella vita cristiana e pluralità dei carismi, tema ribadito dal Concilio. Con un sorriso sulle difficoltà superate da Fogazzaro e dai cosiddetti modernisti, ci viene da chiederci se, assieme con il Fogazzaro non potevano esser messi all’indice anche i testi del Concilio. Ma “distingue tempora et concordabis iura”.

Della enciclica Pascendi, ricordiamo queste parole: “Né altrimenti si dovrà  giudicare degli scritti di taluni cattolici. Uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa sì che tali libri siano letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo” (o.c. pag. 615). In nota al testo il Momigliano scrive: “Si allude evidentemente ad Antonio Fogazzaro  ed in ispecie al suo libro condannato con decreto del 5 Aprile 1906”.

2 - Colloquio del santo con il Papa.

Prima di riportare il colloquio nelle sue parti più evidenti, mi piace riferire quanto scriveva Daniel Rops nella sua “Storia della Chiesa del Cristo” (vol VI/2”).

“In bocca al suo personaggio il Fogazzaro metteva certe dichiarazioni su ogni genere di argomenti, tutte orientate nella stessa direzione. Egli annunciava, per esempio,  che l’insegnamento della chiesa si sarebbe dovuto adattare alle dottrine dell’evoluzione e in particolare al darwinismo, che i dogmi si dovevano trasformare per rispondere alle esigenze del tempo, che la fede ha un senso solo se vissuta” (ed 1968, pag. 298). Frasi scritte come critica negativa verso il Fogazzaro.

Concilio: “Ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientamente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro” (1431).

“Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un’esigenza legittima che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore ... le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio” (1431).

I quattro spiriti del male che hanno invaso la chiesa, secondo Benedetto, sono riferiti al Papa, che all’interno della struttura vaticana è indicato come il piů capace di comprensione. Chi non ricorda  a questo punto il Papa buono, Papa Giovanni, che alcuni curiali i quali proponevano a lui o un ritorno a forme antiche o un loro esonero, li esonerò su due piedi.

I quattro spiriti del male di Fogazzaro non sono distanti in parecchie variazioni dalle piaghe della Chiesa accusate dal Rosmini.

1°- “Uno è lo spirito di menzogna. Anche lo spirito di menzogna si trasforma in angelo di luce e molti pastori, molti maestri della Chiesa, molti fedeli buoni e pii ascoltano devotamente lo spirito di menzogna credendo ascoltare un angelo. Cristo ha detto: «Io sono la Verità» e molti nella Chiesa anche buoni, anche pii, scindono la Verità nel loro cuore, non hanno riverenza per la verità che chiamano religiosa, temono che la verità distrugga la Verità, pongono Dio contro Dio, preferiscono le tenebre alla luce e così ammaestrano gli uomini. Si dicono fedeli  e non comprendono quanto scarsa e codarda è la loro fede, quanto è loro straniero lo spirito dell’apostolo che tutto scruta. Adoratori della lettera vogliono costringere gli adulti a un cibo di infanti che gli adulti respingono, non comprendono che se Dio è infinito e immutabile, l’uomo però se ne fa un’idea sempre più grande di secolo in secolo e che di tutta la verità divina si può dire così..... Santo Padre, oggi pochi cristiani sanno che la religione non è principalmente adesione dell’intelletto a formole di verità ma che è principalmente azione e vita secondo questa verità, e che alla fede vera non rispondono solamente doveri religiosi negativi e obblighi verso l’autorità ecclesiastica  ... e quelli che lo sanno sono combattutti acremente, sono diffamati come eretici, sono costretti al silenzio, tutto per opera dello spirito di menzogna, che lavora da secoli nella chiesa una tradizione d’inganno per la quale coloro che oggi lo servono si credono di servire Iddio, come lo credettero i primi persecutori dei cristiani. ... E poiché Vostra Santità ha detto che Iddio rivela  le sue verità anche nel segreto delle anime, non lasci moltiplicare le devozioni esterne, che bastano, raccomandi ai Pastori la pratica e l’insegnamento della preghiera interiore.”

Chi ha soltanto orecchiato le indicazioni del Concilio si accorge subito della modernità di quanto espresso da Benedetto. Vediamole:

“Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e con lo studio dei credenti, i quali la meditano in cuor loro, sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali ... La Chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio” (883)”.

E per i laici si legge:
         “Dall’aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa che nel mondo, con la libertà dello Spirito, il quale spira dove vuole e al tempo stesso nella comunione con i fratelli in Cristo, soprattutto con i propri pastori, che hanno il compito di giudicare sulla loro genuinità e uso ordinato, non certo per estinguere lo Spirito, ma per esaminare tutto e ritenere ciò che è buono” (921).

In quest’ultima frase e in molte delle precedenti si nota la citazione esplicita della Sacra Scrittura. Inoltre nella notificazione della sacra congregazione per la dottrina delle fede del 14.06.1966 si avverte che “esso [libro dell’Indice] non ha più forza di legge ecclesiastica con le annesse censure”.

2°- Un secondo spirito del male, secondo l’espressione di Benedetto, è la dominazione del clero. Un clero che non rispetta la libertà per la quale Cristo ci ha liberati. Ecco:

“Se il clero insegna poco la preghiera interiore, che risana l’anima quanto certe superstizioni la corrompono, è causa del secondo spirito maligno che infesta la Chiesa, trasfigurato come angelo di luce. Questo è lo spirito di dominazione del clero. A quei sacerdoti che hanno lo spirito di dominazione non piace che le anime comunichino direttamente e normalmente con Dio per domandarne consiglio e direzione ... ma le vogliono dirigere essi in qualità di mediatori e queste anime diventano fiacche, timide, servili ... Egli [lo spirito maligno] ha soppressa l’antica santa libertà cattolica. Egli cerca di fare dell’obbedienza, anche quando non è dovuta per legge, la prima delle virtù. Egli vorrebbe imporre sottomissioni non obbligatorie, ritrattazione contro coscienza, dovunque un gruppo d’uomini si associa per un’opera buona prenderne il comando, e, se declinano il comando, rifiutar loro l’aiuto. Egli tende a portare l’autorità religiosa anche fuori del campo religioso ... Santo Padre, Ella non lo avrà ancora provato, ma lo spirito di dominazione vorrà esercitarsi anche sopra di Lei. Non ceda, Santo Padre! Ella è il governatore della Chiesa, non permetta che altri governi Lei, non sia il suo potere un guanto per invisibili mani altrui. Abbia consiglieri pubblici e siano i vescovi raccolti spesso nei Concili nazionali e faccia partecipare il popolo alle elezioni dei vescovi scegliendo uomini amati e riveriti dal popolo ...” (pag, 205).

E ora vediamo il Concilio.

Mario Gozzini, nel presentare il numero 37 della Costituzione Conciliare sulla Chiesa, scrivendo già allora a ridosso del Concilio, notava: “L’acquisita coscienza teologica della comunità dei figli di Dio è un antidoto contro il clericalismo. L’ipertrofia, in certi casi, del potere gerarchico ha avuto ragioni storicamente legittime, ormai abbastanza indagate e chiarite ... quelle ragioni sono venute meno e la Chiesa, approfondendo la sua natura essenziale, ha preso coscienza della provvisorietà del fenomeno, gettando i fondamenti dottrinali per eliminare non i chierici ma il clericalismo” (AA. VV. La Chiesa del Vaticano Secondo, Vallecchi 1965, pag. 1016).

L’articolo 37 recita infatti:

 “I laici, come tutti i fedeli ... manifestino le loro necessità e i loro desideri, con quella libertà e fiducia che si addice ai figli di Dio e a fratelli in Cristo. Nella misura della scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora il dovere di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa” (182).

E ancora:

           “D’altra parte i pastori riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e campo di agire, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di loro iniziativa  ... Con rispetto poi riconosceranno i Pastori quella giusta libertà, che a tutti compete nella città terrestre”(384).

“Da questi familiari rapporti tra laici e Pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa: in questo modo infatti è fortificato nel laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei Pastori” (385).

Tra le cose nefaste del “modernismo”, deplorate nella “Pascendi”, si legge: “Strepitano che il regime ecclesiastico debba essere rinnovato in ogni verso ... le congregazioni devono essere svecchiate ... deve cambiare dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito “ (o.c. pag 606).

3°- E ora passiamo al terzo spirito maligno, secondo l’esposizione di Benedetto:

“Il terzo spirito maligno ... è lo spirito di avarizia ... Molti Pastori venerandi vivono nella Chiesa con uguale cuore [ossia come quello del Papa], ma lo spirito di povertà non vi è bastantemente insegnato come Cristo lo insegnò, le labbra dei ministri di Cristo sono troppo spesso troppo compiacenti ai cupidi dell’avere”.

Si sa che questo tipo di riforma “non è opera di un giorno, ma si prepari il giorno, e non lasci questo compito ai nemici di Dio e della Chiesa, ma si prepari il giorno in cui i sacerdoti di Cristo dieno esempio della effettiva povertà (pag. 206)

E ora ecco il Concilio: è noto che il numero 17 del decreto “Presbyterorum ordinis” è incentrato sulla povertà del clero. Lì si legge: i presbiteri “non trattino l’ufficio ecclesiastico come occasione di guadagno, né impieghino il reddito che ne derivi per aumentare le sostanze della propria famiglia. I sacerdoti quindi, senza affezionarsi in alcun modo alle ricchezze, debbono evitare la bramosia e astenersi da qualsiasi tipo di commercio. Anzi essi sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in  un modo più evidente ed essere in grado di svolgere con maggior prontezza il sacro ministero. Cristo infatti da ricco è diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi” (1301-1302).

L’enciclica “Pascendi” tra gli errori del modernisti nota che “chiedono che il clero ritorni all’antica povertà e umiltà, ma lo vogliono di mente e di opere consenziente con i principi del modernismo” (pag. 607).

4°- Ora ricordiamo il quarto spirito maligno di cui parla Benedetto: la capacità di smuovere le vecchie abitudini mentali e disciplinari.

“Il quarto spirito maligno è lo spirito d’immobilità ... anche i cattolici, ecclesiastici e laici, dominati dallo spirito di immobilità, credono di piacere a Dio come gli Ebrei zelanti che fecero crocifiggere Cristo ... sono idolatri del passato, tutto vorrebbero immutabile nella Chiesa, sino alle forme del linguaggio pontificio, sino ai flabelli che ripugnano al cuore sacerdotale di Vostra Santità, sino alle tradizioni stolte per le quali non è lecito a un cardinale uscire a piedi e sarebbe scandaloso che visitasse i poveri nelle loro case ... contro lo spirito d’immobilità io La supplico di non permettere che siano posto all’Indice i liberi di Giovanni Selva ... io  scongiuro  Vostra Santità di uscire dal Vaticano; la prima volta, almeno la prima volta, uscite per un’opera del Vostro ministero! Lazzaro soffre e muore ogni giorno, andate a vedere Lazzaro. Cristo chiama soccorso in tutte le povere creatura umane che soffrono ... Queste mie parole, se fossero conosciute dal mondo, da chi più si professa devoto al Vaticano, ma per vituperi e fulmini che mi si scagliassero non griderei fino alla morte: che dirà Cristo? Che dirà Cristo? A Lui mi appello” (Pagg. 107-108).

Questa sembra una descrizione in anticipo di come operò il Papa Giovanni.

Il Concilio Vaticano Secondo, per indicare il cammino della chiesa in relazione con lo svolgersi del cammino del mondo, emanò la costituzione pastorale  “Gaudium et spes”, articolata in ben 93 paragrafi. L’inizio:

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore ... per ciò essa [la Chiesa] si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (1319).

Notiamo  che, in questo brano, la Chiesa segue l’evolversi della storia, contro ogni spirito di immobilità. Perciò dopo aver notato alcuni aspetti del progresso umano, la Costituzione recita:

“Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere mosso dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di scernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza del disegno di Dio” (1352)

Il grande documento, poco conosciuto, termina affermando:

"I cristiani, ricordando le parole del Signore «in questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri», niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggior generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo” (1643).

L’enciclica “Pascendi”  fu scritta “per custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome (pag. 578). Come si vede la “Pascendi” nutre lo stesso scopo del Concilio, ma resta in una prospettiva fissista.

3 - Ultime parole del Santo

Entriamo in un’atmosfera di addio, dove le ultime raccomandazioni si trasformano in una specie di testamento. Qui si uniscono indicazioni ascetiche, indirizzi morali e anche luci di dottrina. Il tutto aureolato del pathos dell’addio.

Domina la situazione della preghiera e dell’unione nella Chiesa. Sembra quasi di riudire alcune frasi che il Fogazzaro incluse nel suo testamento, il suo desiderio di riforma dentro la Chiesa stessa, alla quale lui, nonostante il grave sgarbo subito, vuole restare fedele.

Ecco alcuni passaggi:

“Pregate senza posa e insegnate a pregare senza posa. Questo è il fondamento primo. Quando l’uomo ama veramente di amore una persona umana o una idea della propria mente, il suo pensiero aderisce in segreto continuamente al suo amore mentr’egli attende alle più diverse occupazioni della vita, sia di vita di servo, sia di vita di re ... Portate voi sempre nel vostro [cuore] il Padre che non avete veduto, ma che avete sentito tante volte come uno Spirito di amore spirante in voi, che vi metterà il desiderio dolcissimo di vivere per esso”. Come è evidente, qui si ritrova l’ascetica e la mistica del monaco, abituato alle parole benedettine.

“Siate santi, non cercate né lucri né onori, mettete in comune per le vostre opere di verità e di carità il superfluo misurato secondo la voce interna dello Spirito. Siate benefici amici a tutti i dolori umani nei quali vi incontrerete, siate mansueti al vostri offensori e derisori che saranno molti anche all’interno della Chiesa, siate intrepidi a fronte del male; datevi alle necessità l’uno dell’altro; perché se tali non vivrete non potrete servire lo Spirito di verità e perché il mondo riconosca la verità dai vostri frutti, perché i fratelli riconoscano dai vostri frutti che voi siete di Cristo”. Qui si nota la risonanza con le parole di Gesù al capitolo 17 di Giovanni. Eppure l’indirizzo verso la verità, e non verso il Padre, come nel discorso di Gesù, fa comprendere la preoccupazione del Fogazzaro.

“Ciascuno di voi adempia i suoi doveri di culto come la Chiesa prescrive, secondo stretta giustizia e con perfetta obbedienza. Non prendete nomi per la vostra unione”. Qui la preoccupazione dell’autore è di non assomigliare e nessuna corrente già presa di mira dalle autorità.

“Molti lavorano nella Chiesa lo stesso lavoro al quale vi preparate voi con la preparazione morale che vi ho prescritta: voglio dire un lavoro di purificazione della fede e di penetrazione della fede purificata nella vita”. Che cosa si intende per purificazione della fede? L’aggiornamento di essa, al modo di Papa Giovanni? Alla liberazione dalle scorie raggrumate sul credo dalla polvere dei secoli e di una certa tradizione? Più sotto nei leggiamo: “Purificate la fede per gli adulti ai quali è incomportabile il cibo degl’infanti”. Quindi ritorna il tema già trattato nel colloquio con il Papa. Quel ritornare allo Spirito di verità. Il che viene ribadito: “Lavorate e glorificare l’idea di Dio adorando sopra ogni cosa la Verità e insegnando che non v’è verità contro Dio né contro la sua legge”. Le lezioni benedettine stanno riaffiorando in tutti queste espressioni. Siamo in un periodo nel quale la riedizione del tomismo, era voluta tenacemente nell’ambiente ecclesiastico a favorire la solidità della teologia, basata sulla filosofia.

Se facciamo attenzione, la concretezza della verità che è Gesù, non viene neppure adombrata. Potrebbe essere proprio che a idee di un certo tipo si vogliono opporre idee di altro tipo, non una persona, che riassume tutta la verità e la vita:

“Lavorate per la penetrazione della fede purificata nella vita. Questo lavoro è per [verso, a beneficio di] quelli che nella Chiesa sono e nella Chiesa vogliono essere e si chiamano turba, popolo infinito; per coloro che credono nei dogmi e si compiacerebbero di crederne anche di più, che veramente credono nei miracoli e si compiacciono di crederne anche di più, ma veramente non credono nelle beatitudini ... Vi dico di prendere pubblicamente il posto dei Pastori? No; ciascuno lavori nella propria famiglia, ciascuno lavori fra i propri amici, chi può lavori nel libro. Così lavorerete anche il terreno onde i Pastori sorgono” (280).

Spontaneamente si ripercorre qui il terreno e il decreto dell’apostolato dei laici.

Comunque, la presentazione della morte di Benedetto ricalca le descrizioni delle morti di patriarchi e di fondatori di monasteri e di ordini religiosi. Benedetto però, non scrive alcuna regola, ma imprime un testamento nell’anima della persone a lui unite e fedeli. Forse in questo è più vicino all’agire di Gesù e del primissimo ascetismo cristiano.

Si sente emergere nelle parole di Benedetto la spiritualità benedettina. Praglia è vicina, anzi presente perfino agli interessi del Fogazzaro. Quasi un rinnovamento in termini inconsueti della spiritualità benedettina. Una specie di vita monastica nel tessuto sociale, e non nei recinti di un monastero. Una spiritualità laicale per il rinnovamento della Chiesa.

Non è difficile comporre il confronto tra le parole di Benedetto, e la “Perfectae charitatis” dell’ultimo concilio ecumenico.

Questo decreto tuttavia inquadra il discorso sui religiosi, in modo evangelicamente profondo. Tuttavia il discorso di Benedetto si unisce al discorso del Concilio sull’apostolato dei laici. È scabroso staccare i due decreti quando si tratta dei laici che vivono come religiosi. Però l’intento benedettino del Fogazzaro ci porta di più sul versante del decreto sui religiosi, dal quale stralciamo alcuni numeri.

“In tanta varietà di doni, tutti coloro, che, chiamati da Dio alla pratica dei consigli evangelici, ne fanno fedelmente professione, si consacrano in modo speciale al Signore”.

Il Concilio si esprime non in vista di una novità, ma in prospettiva di un rinnovamento (cfr il N° 706).

Il Concilio è però sensibile a una spiritualità laicale, che si adatta alla vita moderna.

“Il modo di vivere, di pregare e di agire deve convenientemente adattarsi alle odierne  condizioni fisiche e psichiche dei religiosi” (712), Sotto questo riguardo la santità medievale di Benedetto non è intesa dal Concilio.

“Gli istituti religiosi coltivino con assiduità lo spirito di preghiera” (724); e questa era anche la primaria intenzione di Benedetto.

Inoltre il Concilio volge uno sguardo particolare agli istituti secolari. Qui sembra riemergere il pensiero di Benedetto: “Gli istituti secolari, pur non essendo istituti religiosi tuttavia comportano una vera e completa professione del consigli evangelici nel mondo, riconosciuta dalla Chiesa” (735)

Il decreto conciliare dopo aver illustrato la povertà, la castità e l’obbedienza, accenna anche a nuovi istituti (764), ma non considera una vita monastica nel mondo. Forse perciò la figlia di Fogazzaro, Maria, provvederà a organizzare un istituto, quasi realizzando i desideri del padre.

 Concludendo

Le parole di Benedetto sono state scritte prima della condanna del libro, quindi non sono una ribellione contro il torto ricevuto. Il pensiero di Fogazzaro sembra quasi serpeggiare dentro il Concilio Vaticano Secondo. Lo può aver notato chi leggeva continuamente, come accadeva a me, le relazioni giornalistiche sullo svolgersi delle sedute conciliari, stilate da Raniero La Valle, per l’”Avvenire d’Italia”.

Le somiglianze sono molte.

Le differenze non sono quelle notate dalla “Pascendi”,  ma nella impostazione cristologica ed ecclesiologica del Concilio. Del resto da uno scrittore dell’inizio ‘900, quando gli studi teologici erano debitori ai manuali, e non alla Sacra Scrittura, non si poteva aspettarsi di più. Giustamente un romanzo descrive, non teorizza, anche quando i suoi personaggi teorizzano.

Eppure attraverso l’agire dei personaggi Fogazzaro esprime molto del suo spirito. Quello spirito che, nonostante le condanne inflittagli dai suoi, si mantenne cattolico, fino alla morte, preceduta dal suo testamento, nel quale dichiara lindamente di voler mantenere la fede cattolica. Stimato poco cattolico dall’entourage vaticana, e troppo cattolico per essere appoggiato dalla laicità statale per il premio Nobel

Poco o troppo cattolico, per noi è semplicemente Antonio Fogazzaro, uomo di queste terre.